09/04/2014

Legge Scalfarotto: libertà di espressione o libertà religiosa?

Per molti, la proposta di legge di Ivan Scalfarotto “per il contrasto dell’omofobia e della transfobia”, approvata dalla Camera dei Deputati il 19 settembre 2013 e in discussione in questi giorni alla Commissione Giustizia del Senato, costituirebbe un attacco alla libertà di espressione. Che di questo si tratti è certo.

La proposta, non tiene conto che chi insulta, minaccia o commette una violenza o un’aggressione nei confronti di una persona omosessuale – come nei confronti di chiunque e in base alle leggi che già esistono – viene perseguito, anche con una fattispecie aggravante. Si estendono, però, all’omofobia ed alla transfobia, le norme previste dalle cc.dd. leggi Reale (L. 13/10/1975 n. 654) e Mancino (D.L. 26/4/1993 n. 122) e si prevede (art.3.1., così come approvato dalla Camera):  “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito: a) con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia”. Per poi prevedere ancora, all’art. 3.3.: “E’ vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’omofobia o sulla transfobia”. E’ stato poi aggiunto un emendamento, l’art. 3-bis: “Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative alla realizzazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”. Se quest’emendamento – di compromesso, che “protegge” solo all’interno delle organizzazioni richiamate “la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni” – non sarà approvato dal Senato, non esisterà più neanche questa “tutela”.

Con i compromessi, non si affronta la questione vera sulla quale incide in maniera formidabile la proposta di Scalfarotto. Siamo sicuri, infatti, che si tratti solo di libertà di espressione? Esiste una gerarchia anche tra le libertà e c’è una libertà – che precede quella di espressione – che viene ignorata. Non solo in Corea del Nord o in Cina, ma anche da noi. E’ la libertà religiosa. Mentre Scalfarotto illustra con tenacia la “solidità” dei suoi “principi ispiratori” – di recente, l’ha fatto da Irene Bignardi nella trasmissione “Le Invasioni Barbariche” – dall’altra parte non viene affermato, con altrettanta tenacia e solidità, che la sua proposta di legge lede innanzitutto (nel senso che vuole spazzare via) la concezione cristiana sull’omosessualità, che si richiama ai principi dell’ordine naturale. Qual è questa concezione? Quella che richiama, ad esempio, il Cardinale Giacomo Biffi, nel capitolo dedicato al tema del suo libro “Dodici digressioni di un italiano cardinale”, Cantagalli 2011- “Riguardo al problema oggi emergente dell’omosessualità – scrive Biffi – la concezione cristiana ci dice che bisogna sempre distinguere il rispetto dovuto alle persone, che comporta il rifiuto di ogni loro emarginazione sociale e politica (salva la natura inderogabile della realtà matrimoniale e familiare), dal rifiuto di ogni esaltata ‘ideologia dell’omosessualità’, che è doveroso. La parola di Dio, come la conosciamo in una pagina della lettera ai Romani dell’apostolo Paolo, ci offre anzi un’interpretazione teologica del fenomeno della dilagante aberrazione culturale in questa materia: tale aberrazione – afferma il testo sacro – è al tempo stesso la prova e il risultato dell’esclusione di Dio dall’attenzione collettiva e dalla vita sociale, e della renitenza a dargli la gloria che gli spetta (1,21)”. E aggiunge: “San Paolo si premura di osservare che l’abiezione estrema si ha quando ‘gli autori di tali cose… non solo le commettono, ma anche approvano chi le fa’” (Rm, 1,32).

Quindi, la domanda corretta da porsi è questa: con la legge Scalfarotto, sarà ancora possibile, affermare in questi termini la propria fede e testimoniarla o per questo si dovrà andare in galera?

Danilo Quinto

 

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