25/09/2018

007 aveva la “licenza” d’uccidere non il “diritto” di uccidere

Il “diritto” all’aborto delle femministe americane è in pericolo: a luglio Trump ha nominato Brett Kavanaugh alla Corte suprema. In questi giorni la Commissione giustizia del senato Usa sta terminando le audizioni al fine di valutare e quindi votare la conferma o meno della nomina.

Il clima è molto acceso: i “liberal” – che in italiano andrebbero chiamati “radicali”, non “liberali” – del Partito democratico hanno in odio il candidato. Non solo perché è – ovviamente – un conservatore, ma appunto perché temono che con il suo voto decisivo la Corte suprema possa ribaltare la tristemente nota sentenza Roe vs Wade che legalizzò l’aborto negli Stati Uniti. Stanno persino cercando di infangarne la reputazione con false accuse di molestie sessuali che Kanavaugh avrebbe perpetrato, ubriaco, a una festa, ai tempi del liceo, nei confronti di una ragazza che oggi è militante nel partito democratico. Le femministe, dal canto loro, hanno inscenato proteste così violente da farsi arrestare: «Il “diritto” all’aborto non si tocca».

Ma il “diritto” all’aborto esiste davvero?

Le norme “positive”, cioè “poste da chi ha il potere”, come la legge 194, possono aver creato un “diritto” all’aborto. Lo spiega, ad esempio, il professor Tommaso Scandroglio. Non tutti i giuristi italiani d’accordo con lui, ma qui non ci interessa un discorso tanto tecnico per specialisti. Vorremmo affrontare il problema dal punto di vista razionale della legge naturale.

Il diritto è un interesse protetto dalla legge. Quindi se la legge ritiene che l’interesse di uccidere un bambino (o un Ebreo, o un malato…) sia un interesse meritevole di tutela lo inserisce in una ipotesi (cd. fattispecie) cui collega una certa conseguenza: se una donna chiede di abortire, allora le danno un certificato, va in ospedale e ottiene l’aborto; se una famiglia ha origini ebree allora va chiusa in un campo di concentramento. Evidentemente l’interesse di questa famiglia e di quel bambino, l’interesse alla vita e alla libertà, non conta. Ma l’interesse alla vita e alla libertà della generalità dei consociati, normalmente, conta. Infatti l’omicidio è un delitto.

Ergo, ci sono persone che hanno interessi protetti dalla legge e altre no: per motivi di razza, per motivi di età. È evidente che queste sono ingiuste discriminazioni che violano palesemente persino la legge positiva italiana, per esempio il principio di uguaglianza all’art. 3 Cost.  Ma lo Stato ha il potere e se il potere non riconosce alcun limite può fare e disfare i dirtti come vuole. Questo consente alla Cina ancora oggi di chiudere “legalmente” nei campi di concentramento (i laogai) i dissidenti, dove vivono di stenti e di torture e facilmente muoiono. Nel 2017 è scomparso Liu Xiaobo, che era già dentro da un paio d’anni quando, nel 2010, ha vinto il premio Nobel per la pace. In quell’occasione hanno anche – “legalmente” – impedito sia a lui che alla moglie di andare in Svezia a ritirarlo. In Italia, in Usa e nei Paesi democratici, la Costituzione dovrebbe servire proprio ad evitare la degenerazione e l’abuso del potere. Ma, evidentemente, nella sostanza ha fallito.

Questi esempi, però, bastano per capire perché già Cicerone diceva che la legge ingiusta non è legge: la legge positiva, dello Stato, non deve confliggere con la legge naturale, altrimenti si apre l’abisso dell’arbitrio e del totalitarismo, contro cui è nostro sacrosanto diritto e nostro inderogabile dovere sollevare obiezione di coscienza. Le leggi che consentono l’aborto, l’eutanasia, il “matrimonio” gay, non sono leggi, e i diritti che da esse sono creati semplicemente non sono diritti.

Sarebbe troppo onesto riconoscere questa cruda verità per chi invece – a livello nazionale e internazionale – va sbraitando di “diritto” di abortire, e dei “nuovi diritti civili”, che in ultima analisi implicano il “diritto” di deprivare i bambini di mamma o papà.

L’onestà intellettuale non appartiene a chi è accecato dall’ideologia. Non si rendono conto, tutti costoro, che neanche 007 aveva il “diritto” di uccidere.

Francesca Romana Poleggi

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