16/09/2013

Aborto in caso di stupro? No, grazie

Navigando sul web (www.rebeccakiessling.com, www.savethe1.com, www.hopeafterrapeconception.com), s’incontrano testimonianze straordinarie, come quella di Rebecca, concepita a seguito di una violenza carnale e sopravvissuta all’aborto

La sentenza Roe vs Wade (1973) che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti trattava la legittimazione dell’aborto per un caso di stupro (che poi si è rivelata una falsità). Molte legislazioni prevedono l’aborto legale per i casi di stupro e incesto.
Ma, se da un lato è ovvio che lo stupratore debba scontare una pena, pochi riflettono sul fatto che il bambino è innocente!
Quanto alle donne, il libro “Victims and Victors” riporta testimonianze di madri che hanno abortito a seguito di stupro, e raccontano che l’aborto ha costituito per loro un’altra violenza.
Quanto ai bambini, Rebecca Kiessling così scrive nel suo sito: “Avvocato di diritto di famiglia,concepita dopo una violenza, sopravvissuta a due aborti, moglie e madre di tre figli”.
Divenuta attivista prolife dal 1995, ha promosso il diritto alla vita, raccolto fondi per centri di sostegno alla maternità, parlato in chiese, scuole, università, in conferenze per donne e per avvocati, in tutto il Canada, l’Irlanda, il Regno Unito, la Germania, la Francia, l’Austria e il Messico. È apparsa in trasmissioni televisive sulla CNN, CBS, EWTN, Catholic TV, come difensore della vita e come persona che è stata concepita dopo una violenza. Nel suo sito (www.rebeccakissling.com) riporta altre storie e testimonianze di persone concepite dopo violenza o incesto e di madri che hanno scelto di portare avanti lo stesso la gravidanza.
A 18 anni Rebecca ha saputo che la sua madre naturale era stata violentata e poi l’aveva data in adozione. «Come la maggior parte delle persone non avevo mai considerato che l’aborto potesse aver minacciato la mia vita, ma quando ho saputo la verità, tutto a un tratto mi sono resa conto che l’aborto ha a che fare con la mia stessa esistenza.
Era come se potessi sentire gli echi di tutte quelle persone che dicono: “Sono contrario all’aborto, se non in caso di stupro” o che esclamano con disgusto “soprattutto nei casi di stupro”.
Tutte queste persone non mi conoscono nemmeno, ma danno un giudizio sulla mia vita pronti a respingermi solo per come sono stata concepita. Mi sentivo come se dovessi giustificare la mia esistenza, e dimostrare che la mia vita non è spazzatura e che è degna di essere vissuta. Ogni volta che qualcuno s’identifica come “pro-choice” o quando fa l’eccezione di violenza, la cosa per me si traduce: “Credo che tua madre avrebbe dovuto interrompere la tua vita. Se fosse stato per me, saresti morta”. So che la maggior parte delle persone non dà un volto alla questione aborto: per loro il problema è solo un concetto da spazzare sotto il tappeto per non pensarci più. Mi auguro, come figlia di una violenza, di poter contribuire, invece, a dare un volto, una voce e una storia a questo problema.
Ho spesso trovato quelli che cercano di chiudere con battute tipo “Oh, bene sei stata fortunata!” La mia sopravvivenza non ha nulla a che fare con la fortuna.
Il fatto che sia viva oggi ha a che fare con le scelte che sono state fatte per la nostra società in generale, ha a che fare con le persone che hanno combattuto perché l’aborto fosse illegale in Michigan a quel tempo, anche nei casi di stupro, e con le persone che hanno votato a favore della vita. Non sono stata fortunata, sono stata protetta.
È ragionevole pensare che i nostri fratelli e sorelle che vengono abortiti ogni giorno siano solo in qualche modo “sfortunati”? Il mio valore e la mia identità non sono dati dall’espressione “prodotto di stupro”, ma da “figlia di Dio”».

di Chiara Lalli

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