03/08/2016

Aborto forzato in Cina per una donna incinta di 8 mesi

La politica coercitiva che da circa trent’anni fa strage di bambini (e traumatizza gravemente nel corpo e nella psiche le donne) in Cina è lungi dall’esser stata abolita: l’aborto forzato è ancora una triste realtà.

Eppure si dice che “la Cina ha abolito la politica del figlio unico“...

A Meizhou City, nel Guangdong, la signora Zhong è incinta di otto mesi. Si è sposata in seconde nozze e sia lei che il marito hanno già un figlio per uno.

Sperava che la nuova legge cinese  le consentisse di avere questo che per lei è il secondo figlio: ha quasi 40 anni e potrebbe essere l’ultima possibilità di avere un figlio col suo attuale marito.

Ebbene: nonostante la propaganda mediatica del regime di Pechino che vuol far credere di aver abolito la politica del figlio unico con il permesso di un secondo figlio, alla signora Zohng è stato ingiunto di abortire. Prima conseguenza in caso di inadempimento sarà il licenziamento in tronco, sia per lei che per il marito.

Finché resiste alla censura potente della cyber polizia del Partito Comunista, alcune persone vittime della macchina cinese usata per la pianificazione familiare si incontrano grazie a “wechat” (una applicazione di messaggistica). C’è un gruppo composto da almeno 500 donne che condividono le ansie, l’angoscia e la prevaricazione che subiscono per essere in attesa di un bambino senza il permesso del Governo.

Un’altra storia è quella di He Liping, incinta di sei mesi:  “Non avevo idea di non essere qualificata per avere il permesso a un secondo figlio”, ha scritto. Quando sono andata a chiedere il  permesso di nascita le hanno imposto una multa di  260.000 yuan ($ 39.000) per evitare l’aborto forzato:  è un’enorme quantità di denaro, che equivale fino a dieci volte lo stipendio annuale di una persona media.

Bisognerebbe mantenere una pressione internazionale costante sul Partito comunista cinese che esercita da  da più di 70 anni una dittatura spietata che calpesta la dignità e le libertà del popolo cinese fin dentro le camere da letto.’ dice Reggie Littlejhon, di Women Rights Without Frontiers.

Qualsiasi persona ragionevole dovrebbe inorridire di fronte all’idea che uno Stato possa imporre l’aborto alle donne.

Ma si sa le femministe, l’ONU, Amnesty, e tutti gli opinionisti alla moda, politicamente corretti, sono piuttosto orbi quando si tratta di denunciare seriamente e fermamente le sistematiche violazioni dei diritti umani in Cina: con la Cina girano un sacco di soldi, si fanno troppi buoni affari. E allora non ci vedono bene... magari hanno un buon olfatto... però, si sa, pecunia non olet...

Francesca Romana Poleggi

Fonte: Sixthtone

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