02/06/2016

Aborto: per la Corte Interamericana è un diritto umano?

Se per gli organismi internazionali l’aborto è un diritto umano fondamentale, che tutti gli Stati devono riconoscere, ne discende evidentemente un’idea del tutto distorta tanto dell’aborto quanto degli stessi diritti umani.

Chi difende la vita parla una lingua completamente differente da chi promuove la “cultura della morte”. Tuttavia, la verità sta da una parte sola.

Apprendiamo da AciPrensa che la Corte Interamericana dei Dritti Umani avrebbe intenzione di aprire le porte all’aborto. I leader delle principali associazioni pro-life del continente stanno parlando di un golpe giuridico con parvenza democratica.

Lo scorso 19 maggio, infatti, i giudici hanno dato il via ad una serie di consultazioni mirate a reinterpretare la Convenzione Americana sui Diritti Umani (nota anche come Pacto de San José), e in particolare l’art. 4.1, che riconosce il diritto alla vita sin dal concepimento: “tutta la persona ha il diritto a che la sua vita venga rispettata. Questo diritto sarà protetto dalla legge e, in generale, a partire dal momento del concepimento. Nessuno può essere privato della vita arbitrariamente”.
Discutere di questo articolo così chiaro serve a perseguire un solo obiettivo criminale: introdurre una legislazione abortista in tutti quei Paesi dell’America Latina ancora “arretrati”.

Non tutti però stanno a guardare passivamente. Gualberto García Jones, direttore esecutivo di International Human Rights Group ed esperto in diritti umani, denuncia il tentativo della Corte Interamericana di scardinare la stessa Convenzione Interamericana: anziché il diritto alla vita, vuole imporre il diritto all’aborto, anziché il diritto all’integrità familiare, vuole la distruzione del concetto stesso di famiglia e anziché promuovere la libertà religiosa, intende sopprimerla imponendo con la forza la propria ideologia.

In tal modo la Corte si sta convertendo sempre più in un strumento della “cultura della morte”, come nota il messicano Carlos Alberto Ramírez Ambríz, presidente del movimento pro-life Dilo Bien Internacional: basti pensare all’ingiunzione, fatta al Costa Rica, di introdurre la fecondazione artificiale). Ramírez Ambríz ricorda ai giudici che il diritto alla vita è inalienabile e non ha bisogno di alcuna interpretazione, ma anzi va protetto universalmente.

È incredibile e drammatico, come rileva Julia Regina de Cardenal, fondatrice e presidente onoraria della Fondazione Sì a la Vida di El Salvador, che una Corte nata per difendere i diritti umani intenda ora legalizzare il crudele omicidio di esseri umani innocenti, come i bambini non ancora nati e voglia in tal modo danneggiare anche le madri (perché l’aborto ha pesanti ripercussioni sulla salute psico-fisica della madre e dei familiari). Dov’è la coerenza in tutto questo? Oltretutto – e lo sottolinea un’altra salvadoregna, Sara Larín, presidente del movimento VIDA SV – che l’aborto sia un omicidio lo dice la scienza. I dati biologici infatti affermano inequivocabilmente che dal momento della fecondazione siamo di fronte ad un nuovo essere umano, con un proprio patrimonio genetico e dunque ad un soggetto di diritti. Se non si ammette questo fatto oggettivo e non si agisce di conseguenza, tutti gli altri diritti vengono meno.

Sappiamo però che la coerenza, la logica e la semplice attenzione al dato di realtà non appartengono a chi fa dell’aborto un’ideologia ed una conquista di civiltà. Per questo chi lotta per la vita non solo combatte per la dignità umana, ma pure per la ragione ed il buon senso.

Redazione


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