20/08/2018

Aborto “tranquillo”: bavaglio a chi tenta di salvare vite

La Società per la protezione dei bambini non nati (SPUC) ha scritto al deputato Sajid Javid, ministro dell’Interno del Regno Unito, a proposito del suo progetto annunciato di creare delle buffer zones – le famose zone cuscinetto – attorno alle cliniche per aborti. La SPUC ha così inoltrato un invito a riconsiderare seriamente questa decisione che potrebbe essere – scrive –«la più importante» della sua carriera. Antonia Tully della SPUC ha evidenziato che l’attuazione di una politica di questo tipo, potrebbe «ferire a morte il principio di libertà di parola un tempo tanto apprezzato». Il ministro dell’Interno, rivolgendosi agli attivisti pro aborto, ha detto che prevede di annunciare i risultati di un riesame della questione a settembre.

Ad aprile, il distretto di Ealing, uno dei quartieri più popolosi di Londra, è stato la prima autorità locale ad applicare un ordine di protezione degli spazi pubblici intorno a una clinica Marie Stopes, per “proteggere” le donne che vi si recano «da angoscia e intimidazione» – come scrive il Guardian. Attivisti e consiglieri hanno ritenuto necessaria una zona di sicurezza in seguito a ripetuti episodi che vedevano alcuni pro life mostrare alle donne foto di feti abortiti e chiamarle “assassine”. Ora, una notizia del genere dovrebbe indurre a riflettere tutte le persone impegnate nella battaglia per la vita. In Inghilterra come in Italia, dal momento che queste iniziative sono “virali”. Quella delle zone cuscinetto è una questione annosa e in fondo mai abbandonata dal fronte abortista per ridurre sempre più al silenzio l’impegno pro life in quel contesto in cui è più necessario e più urgente: il momento in cui la donna si reca in sala operatoria. È l’ultima possibilità: per lei di desistere da un proposito che la condurrà a sofferenza certa, e per suo figlio di vedere la luce. È in quel contesto che molti CAV in Italia, e counselors all’estero, riescono a salvare innumerevoli vite.

La politica, questo animale che ormai si nutre quasi solo di consenso anziché di giustizia, dietro le pressioni degli attivisti, delle lobbies e delle stesse cliniche (che per ogni mamma salvata perdono guadagni cospicui), attende solo un pretesto per cedere a misure sempre più restrittive. Questo pretesto, per quanto sta a noi, non dobbiamo concederlo. L’attivismo dev’essere costantemente guidato dal fine che lo anima e che non è la libertà di espressione, ma la salvezza delle donne e dei loro bimbi. Insomma non ha senso lo “zelo amaro” in questa battaglia, se non a fornire ancora più occasioni per una campagna mediatica già virulenta contro i pro life. Dopodiché gli abortisti si appelleranno a ogni altra forma di testimonianza, come una composta riunione di preghiera, per invocare provvedimenti. In tal caso, però, non avremo nulla da rimproverarci.

Vincenzo Gubitosi

Fonte:
SPUC

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