26/03/2019

Aborto vietato ai minori: non in clinica, ma al cinema

La Motion Picture Association of America (Mpaa) è l’organismo statunitense deputato alla classificazione dei film in base al contenuto (quella che un tempo si chiamava “censura”). Il sistema di rating o valutazione va dal gradino più basso, G (General Audiences) – il nostro T (Film per tutti) – al più alto NC-17 (No one under 17 Adults only), ovvero “nessuno sotto i 17 anni” o “soli adulti”. Si passa, nei gradi intermedi, da PG a PG-13 a R. È proprio quest’ultimo che ci interessa. “R” sta per “Restricted” ossia “limitato”: il film «contiene materiale per adulti. I genitori sono invitati a saperne di più sul film prima di portare con sé i loro bambini»; così la Mpaa. Pertanto «il minore di 17 anni richiede un genitore o un tutore adulto accompagnatore».

È questa la valutazione data a Unplanned, il film ispirato alla vicenda di Abby Johnson, da direttrice di una clinica abortista di Planned Parenthood all’attivismo pro life. Non abbiamo avuto modo di vedere il film, ma alcune considerazioni sono d’obbligo, così da fare 2+2. L’Hollywood Reporter ha scritto che «l’Mpaa non menziona “;la rappresentazione realistica degli aborti” come causa del rating restrittivo, e non esiste [nel film, ndr] linguaggio volgare, nudità, violenza, abuso di droghe o qualsiasi altra cosa che gli spettatori associano tipicamente al rating R, dicono Pure Flix e i registi». Eppure, «la Mpaa ha detto a Pure Flix che la scena più problematica era quella di un medico che guardava lo schermo di un computer che mostra l’immagine di un feto quando l’aborto è completato».

Ben Davies di Rebel Media ha commentato: «Devi avere 17 anni per guardare un aborto, ma non per ottenerlo». Ora, a pensarci bene, l’aborto è effettivamente un atto violento, ma è una violenza che i nostri Paesi “;civili” consentono di esercitare a qualunque ragazzina nei confronti del proprio figlio in nome dell’autodeterminazione della donna. Una violenza che i giovani non riescono più a cogliere, assuefatti come sono al pensiero mainstream propalato, tra l’altro, dai vari corsi di educazione sessuale di cui le scuole sono ormai intrise. L’aborto, in questa società, è consacrato come diritto umano a patto che non si mostri in che consiste.

La Motion Picture ha insistito che la restrizione è dovuta ad «alcune immagini inquietanti e cruente», ma il co-regista Chuck Konzelman riconduce la questione a una ragione politica. Come è già accaduto con Gosnell, Hollywood sembra intenzionata a fare tutto il possibile per limitare l’impatto del messaggio pro life sulla società. Lo sceneggiatore Cary Solomon ha denunciato l’ipocrisia della procedura: «Lo standard utilizzato per valutare il nostro film viene applicato in modo incoerente in quanto si riferisce a immagini cruente sullo schermo. In effetti, Happy Death Day 2U [un film con diverse scene di omicidio violento, ndr] ha molto più sangue e brutalità del nostro film, e ha ricevuto una valutazione PG-13 [inappropriato sotto i 13 anni, ndr]».

Solomon è preoccupato che una simile valutazione possa spaventare le famiglie, e proprio nel momento sbagliato. Come nota LifeSiteNews, dopo quello che è successo a New York e il nuovo dibattito sull’aborto a livello nazionale, gli americani non sono mai stati più pronti ad ascoltare e vedere la verità. Film come questo sono esattamente ciò di cui c’è bisogno per mantenere vivo il dibattito e attirare l’attenzione sul dramma in corso. «L’aborto è il grande male del nostro tempo», ha proseguito Solomon, «con la conseguente perdita di oltre 50 milioni di nostri concittadini – e crediamo che questo film abbia il potenziale per essere quello che La capanna dello zio Tom è stato per la schiavitù: il catalizzatore per porvi fine».

Vincenzo Gubitosi

Fonte: LifeSiteNews

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