L’esperienza sconvolgente che ha vissuto un giovane che studia per diventare medico, dopo aver assistito ad un aborto, ci viene raccontata da un articolo di National Right to Life News.
Originalmente si definiva un “pro-choice”, termine improprio per dichiarare di essere a favore della “libera“ scelta di una donna di togliere la vita al proprio figlio (una libertà solo apparente e piena di inganni, oltre che dannosa alla stessa donna).
Il giovane medico, quindi, prese parte incuriosito e quasi con un certo piacere, ad un aborto, essendo una delle attività di tirocinio per ogni medico. Entrato in sala operatoria vide una donna con le gambe divaricate e sollevate, come per partorire. Lì, accanto a lei, un vassoio di strumenti per l’aborto ed un macchinario per aspirare il piccolo.
Inserito il tubo trasparente del macchinario nella cervice, tenuta aperta da uno strumento di metallo grezzo, nel giro di un minuto la vita del piccolo è stata stroncata. Estratto il tubo, all’estremità si potevano vedere la testolina, il collo spezzato ed il resto del corpicino.
Le costole si erano formate con una pelle sottile che le copriva, gli occhi si erano formati e gli organi interni avevano cominciato a funzionare, erano visibili persino le unghie di mani e piedi. Il cuore aveva appena smesso di battere.
Trattandosi di un aborto per aspirazione, il bimbo doveva avere meno di 13 settimane. Nel secondo trimestre, l’aborto sarebbe stato praticato per smembramento mediante pinze.
Impressionato e ossessionato da quelle immagini, il giovane medico credette davvero che quella era una vita umana stroncata e vide l’aborto esattamente per quello che è: un omicidio.
Se vogliamo parlare di aborto dovremmo almeno prima aver visto di cosa si tratta. Altrimenti, è troppo facile parlare di un grumo di cellule ancora non umano...
Luca Scalise
per un’informazione veritiera sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’ aborto