15/01/2019

Attivista lesbica cacciata da un pub: la sua maglia “discrimina i transgender”

A furia di coprire, manipolare e piegare la realtà a piacimento dell’ideologia, si arriva a essere accusati di discriminazione anche quando il semplice accenno al reale è banalmente riportato su una t-shirt. Non stiamo parlando di frasi ingiuriose o di parole offensive ma della definizione di “donna” data dal dizionario e cioè: “femmina di essere umano adulto” stampata sulla maglietta di Rebekah Wershbale, una donna di nazionalità inglese,  allontanata da un pub in Macclesfield, Cheshire, perché la maglia indossata dall’avventrice sarebbe stata considerata discriminatoria verso le persone transgender, da uno degli avventori del locale.

Ma al danno si aggiunge la beffa, perché a ricevere questo trattamento, che in genere si riserva a chi è considerato “omofobo” o “transfobico”, è stata una lesbica dichiarata che peraltro era in compagnia della sua “fidanzata”. Wershbale è attivista del gruppo femminista Fair Play for Women, che in questo periodo si sta battendo perché il governo britannico non permetta ai trans di identificarsi nel genere che desiderano senza almeno una diagnosi medica che ne accerti l’avvenuta “transizione”. Esiste infatti una frangia di femministe (le Terf, transgender exclusionary radical feminists) preoccupate per i pericoli, riguardanti la sicurezza delle donne, che potrebbero derivare dalla concessione di certi diritti alle persone transgender. Pensiamo ad esempio ai dati crescenti sulle violenze nei confronti del genere femminile da parte dei transessuali che hanno libero accesso nei bagni “gender free. Peraltro abbiamo parlato del carcerato transgender, David Thompson, che, riconosciuto “donna” dallo Stato, era stato richiuso in una prigione femminile nei pressi di Wakefield dove ha abusato di alcune carcerate.

Cosa dimostra tutto questo se non che a furia di  violentare la natura con sovrastrutture ideologiche, prima o poi si paga un conto salatissimo? E davvero ci sarebbe da chiedersi come mai si continua ostinatamente a perseverare nello stesso errore, sbattendo fuori dal locale (per poi aver il coraggio di lanciare accuse di discriminazione proprio verso la vittima di questo assurdo trattamento) chi sulla propria maglia ha semplicemente scritto una constatazione.

Insomma, come si evince ancora una volta da un episodio che sembra un cortocircuito ideologico, la strada verso il recupero del buonsenso e della capacità di riconoscere l’evidenza, è ancora lunga e ancora bisognerà lottare molto per «dimostrare che le foglie sono verdi in estate», come aveva profetizzato il buon vecchio Chesterton.

Manuela Antonacci

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