09/04/2017

Cervello umano ed elettronico: l’uomo in balia della macchina?

Dalla Silicon Valley giunge notizia che l’imprenditore Elon Musk ha creato una società che ricerca modi per collegare i computer direttamente con il cervello umano.

Secondo il Wall Street Journal, il miliardario co-fondatore di PayPal, e capo di Tesla e SpaceX, ha fondato la nuova società denominata Neuralink  che esplorerà la tecnologia  “neural lace”  (lett. “trine neurali”) cioè un filo sottilissimo e una rete di plastica che si possa integrare nel tessuto cerebrale e possa  “intercettare” gli scambi di informazioni tra i neuroni.

Musk è convinto che l’intelligenza artificiale diventerà così potente che finirà per rendere l’intelligenza degli esseri umani obsoleta: l’unico modo che ha l’uomo per evitare di diventare un “animale domestico” del computer è quello di integrare la sua intelligenza con l’intelligenza artificiale – in altre parole,  diventare un cyborg.

Molti sono convinti che un progetto del genere non sia possibile, ma molti credono anche che non sia necessario: per esempio Miguel Nicolelis, un neuroscienziato brasiliano esperto in esoscheletri controllati dal cervello, ha detto al Guardian  che l’idea che le macchine digitali, non importa quanto iper-connesse, né quanto potenti, un giorno supereranno le capacità umane è una sciocchezza.

Finora, le interfacce cervello – computer sono state utilizzate  soprattutto per ripristinare il controllo del movimento per i pazienti paralizzati e per attivare la comunicazione con i pazienti locked-in, con lesioni cerebrali che impediscono loro di comunicare verbalmente o gestualmente.

Queste macchine riescono a decodificare i segnali cerebrali che vengono trasmessi da un elettroencefalogramma  tramite elettrodi applicati al cranio, e quindi a tradurli in comandi che muovono robot o cursori.

Ci sono stati progressi anche nella direzione opposta, cioè mediante segnali elettrici esterni si riesce a stimolare il cervello: l’anno scorso  Nathan Copeland , un uomo paraplegico, è stato dotato di una protesi alla mano a doppio senso. Il suo cervello può controllare la mano, ma riesce anche a  “sentire” quando la mano è toccata da qualcuno o qualcosa.

Ma tutte queste conquiste (una meraviglia per i non addetti ai lavori) sono ancora anni luce lontane da ciò che propone Musk. Richiederebbe una simbiosi tra uomo e macchina che presuppone una comprensione del cervello umano che non ci appartiene e non ci apparterrà mai.  Abbiamo più di 80 miliardi di neuroni nel cervello. I nostri strumenti attualmente ci danno l’accesso sì e no a 100 neuroni, dicono gli esperti intervistati dal Guardian. 

E , secondo Nicolelis, gli esseri umani non diventeranno irrilevanti fino a quando le macchine non saranno in grado di replicare il cervello umano: il che secondo il grande neuroscienziato è  appunto oggettivamente impossibile.

L’automazione digitale porterà disoccupazione tra le persone? Come è sempre stato, fin dalla fine del XVIII secolo, quando i Luddisti si ribellarono alla prima automazione industriale.  Ma poi gli operai si sono specializzati nella costruzione e nella gestione delle macchine che gli avevano “tolto il lavoro”, e la creatività umana ha mostrato di non aver confini. Le macchine potranno soppiantare solo gli uomini che svolgono determinate funzioni “banali”.

Musk dice, per esempio,  che anche gli insegnanti rischiano il posto di lavoro: bisogna vedere cosa si intende per insegnante; bisogna vedere se basta insegnare delle nozioni (questo può farlo già benissimo un computer) o se serve insegnare ad amare la conoscenza, il confronto critico tra diverse teorie e diverse forme di espressione... Questo la macchina non potrà mai farlo. Di fronte la macchina chi apprende deve essere già da sé motivato. Il gusto per la cultura e per lo studio e – se non passa di moda – per il bello in sé e per il bello di capire e risolvere problemi, già fanno una fatica titanica a trasmetterlo gli insegnanti di carne ed ossa: le macchine proprio non sono in grado.

Una migliore comunicazione tra uomo e macchina, in particolare la trasmissione di segnali emotivi dagli esseri umani, sarà un potente strumento per costruire la fiducia nei sistemi automatizzati, dice il professor Panagiotis Artemiadis, della Arizona State University. Per esempio, permetterebbe agli esseri umani di affidare il controllo di un veicolo al computer di bordo con fiducia, quando la macchina fosse in grado di capire se l’uomo è distratto o stanco.

Ma – al contempo – si rende conto delle gravissime implicazioni relative alla privacy che comporterebbe la possibilità di lettura della mente da parte dei computer. La libertà di pensiero che fine farebbe quando tutto ciò che c’è nella nostra testa potrebbe essere espresso e comunicato a prescindere dalla nostra volontà? Per non parlare dell’attitudine – ahimè profondamente umana – di trovar modo di applicare questo “potere” sul cervello umano in campo militare, spionistico, e per la sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

Le macchine, comunque, sono ancora (molto) macchine. E anche in un lontano futuro non avranno mai la creatività, il libero arbitrio, la coscienza.

Probabilmente il nucleo centrale del problema sta qua: l’uomo non è solo materia e impulsi elettrici (che comunque sono materiali). L’uomo oltre il cervello ha un cuore: una macchina che anche replicasse perfettamente il cervello, non sarebbe mai in grado di imitarlo.

Francesca Romana Poleggi

Fonti: BioEdge, The Guardian


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