04/04/2018

Conseguenze psichiche dell’aborto: parla una donna

«Sono entrata in quella clinica per aborti come una persona e ne sono uscita fuori in modo diverso»: un articolo di ClinicQuotes ci descrive l’esperienza traumatica del post-aborto attraverso le stesse parole di una donna che l’ha provata sulla sua pelle.

Si era rivolta ad una clinica per abortire, per “liberarsi” di un bambino che, in quel momento della sua vita, sarebbe stato certamente di troppo, le avrebbe causato problemi, avrebbe sconvolto i suoi piani... e ce l’aveva fatta.

Abortito il bambino, sentiva già di aver conquistato quella libertà che tanto desiderava. Restava una sola, piccola certezza da raggiungere: quella che niente fosse andato storto e di non aver subito conseguenze indesiderate nel fisico.

Così, la donna si recò subito dal medico per una visita di controllo e ottenne da lui il responso sperato: era sana e, quindi, finalmente libera. Poteva  prendere in mano la sua vita e farne ciò che voleva, realizzando tutti i suoi progetti.

Aveva in programma di gestire con calma i preparativi del suo matrimonio e, quindi, sposare il suo fidanzato, ma non era più la stessa, dopo l’aborto, e, nell’arco di soli 13 mesi, il matrimonio finì. Ebbero inizio, poi, anche dei problemi al lavoro, tanto che dovette abbandonare la sua carriera.

Qualcosa stava andando storto e l’aveva ormai condotta a familiarizzare troppo con l’alcol e con pensieri di suicidio. Odiava se stessa e le persone intorno a lei. Nonostante tutto, riuscì a risposarsi ed ebbe un figlio. Lo fece nascere, questa volta, ma non riusciva ad essere contenta.

Lo amava, ma aveva il terrore di essere sua madre. Temeva che lo avrebbe danneggiato, fatto a pezzi, come il primo figlio. Iniziarono le allucinazioni, disturbi nel sonno e nell’alimentazione, sentiva piangere bambini in continuazione e sognava file di bambini grigi incatenati. Anche le seconde nozze finirono.

La donna aveva da tempo attuato un processo mentale di negazione, tale da rimuovere in lei l’idea che tutto ciò fosse dovuto all’aborto, ma questa convinzione iniziò a sgretolarsi. Andò, dunque, a sentire una conferenza della Society for the Protection of Unborn Children (Società per la protezione dei bambini non nati) ed ascoltò le parole della fondatrice di American Victims of Abortion.

«Sta parlando della mia vita», esclamò. Entrò, così, nel British Victims of Abortion, un gruppo che aiuta le donne a superare il trauma dell’aborto. Il processo di negazione finì e potè guarire. Non era più sola e poteva finalmente dare un nome a quel mostro che la tormentava: aborto.

Vittima dell’aborto non è solo il bambino che muore, ma anche la donna. Per questo, ProVita Onlus invita ciascuno a firmare la petizione affinchè ogni donna sia informata sulle conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto volontario e nessuna più ne resti ingannata.

Redazione


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