16/12/2016

Consenso informato e diritto di scelta solo a parole

Jessica Duran è una donna americana che ha fatto causa alla clinica dove ha abortito nel 2012 perché la struttura ha dato il corpo della bambina ai ricercatori dell’Università del New Mexico a sua insaputa e senza il suo consenso.

La clinica per aborti non aveva dato alcun  dettaglio  su come i resti della sua bambina sarebbero stati utilizzati.

«Approfittano delle donne come me in situazioni disperate, non ci danno le informazioni a cui abbiamo diritto: gli stessi che vanno in giro proclamando la tutela del diritto delle donne alla “scelta” sono quelli che per primi calpestano tale diritto».

Il  modulo che fanno firmare alle donne per il consensoin un momento atroce di stress – non è chiaro né completo. Questo le ha consentito di citare la clinica per pratiche commerciali ingannevoli e violazione della legge dello Stato, che richiede, invece, il consenso informato.

E pare che Jessica Duran non sia sola. Lo scorso gennaio una donna di nome Nancy  ha detto che il personale della clinica dove si è recata l’ha costretta a firmare il modulo del consenso a donare i resti del bambino, altrimenti non le avrebbe fornito l’aborto, spiegando: «Non ti preoccupare, non è un bambino...».

I moduli che circolano nelle cliniche della Planned Parenthood, poi, promettono alle donne che danno il consenso che il “tessuto fetale” verrà usato per curare malattie come il diabete, il morbo di Parkinson, la malattia di Alzheimer, il cancro e l’AIDS. Il che non è affatto vero. Le terapie che si impiegano per queste patologie prescindono del tutto dall’uso di tessuto fetale.

Viceversa, come i nostri Lettori sanno bene, le cliniche lucrano sulla vendita dei poveri resti che vengono usati in ricerche inutili e immorali.

Redazione

Fonte: Lifenews.com

 


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