La Corte suprema degli Stati Uniti d’America si è pronunciata contro la California perché, evidentemente, il diritto alla libertà conta di più del “diritto” all’aborto.
Ieri, martedì 26 giugno, la Corte Suprema ha cancellato una parte della legge dello Stato della California che imponeva ai Centri di aiuto alla vita di notificare alle donne che si rivolgevano a loro dove poter ottenere l’aborto, con prestazione a carico del servizio sanitario nazionale: tale legge, secondo la Corte, violava il Primo Emendamento della Costituzione americana che protegge la libertà di opinione e di manifestazione del pensiero: i prolife, insomma, non possono essere costretti a promuovere l’aborto.
«Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti».
Molti commentatori hanno interpretato la decisone della Corte Suprema “contro l’aborto”, ma a noi sembra piuttosto una decisione favore della libertà.
I centri prolife per le donne incinte in crisi sono circa 2.700 negli Stati Uniti, circa 200 in California, e, secondo gli abortisti, superano ampiamente in numero le cliniche per l’aborto. Il Governo “liberal” della California, quindi, invece di soffocare la libertà altrui, se ritiene di avere il mandato popolare in tal senso, moltiplichi le “fabbriche di morte”, senza violare le libertà fondamentali dei suoi cittadini.
Ma si sa: i “liberal” sono liberali solo a momenti. In certe occasioni (anche qui da noi: guardate la censura della Raggi a proposito dei manifesti pro vita) sono specializzati nel cancellare le libertà in nome della libertà: e calpestano così i diritti dei più deboli, di cui a parole dicono di essere paladini.
Redazione
Fonte: Huffington Post