17/01/2019

Depenalizzazione dell’aborto in Ecuador: l’appello dei Vescovi

L’abortismo è una piaga culturale e sociale purtroppo in continua espansione: dove ha messo le radici seguita a diffondersi, e dove invece ancora non è arrivato, fa di tutto per attecchire e inaugurare il proprio mortifero contagio. Come sta avvenendo in Ecuador, dove la depenalizzazione della pratica abortiva è al centro del dibattito politico e non solo. Infatti, con l’approvazione della Commissione di giustizia dello Stato, avvenuta lo scorso 19 settembre, ha preso avvio un serrato confronto sulla riforma del Codice penale; una riforma che, appunto, prevede anche la depenalizzazione dell’aborto in caso di «violenza, malformazioni letali per il feto, stupro, incesto e inseminazione non consensuale».

Ora, per la verità la riforma tocca anche altri temi – come le norme anticorruzione, il maltrattamento di animali, il contrasto del traffico di farmaci falsificati o scaduti, le nuove procedure per i casi di violenza di genere – ma è chiaro come sia l’intenzione di calpestare il diritto alla vita del nascituro il passaggio più grave. Tanto è vero che, pochi giorni dopo l’approvazione del provvedimento da parte della Commissione di giustizia, nel dibattito pubblico è scesa ufficialmente in campo la Chiesa. Non che la posizione cattolica non fosse già nota prima ovviamente; eppure i vescovi ecuadoriani hanno sentito il bisogno di ribadirla con forza e con un apposito documento.

Il 3 gennaio è così stata diffusa una nota con la quale, in primo luogo, si invita alla partecipazione al dibattito istituzionale. «Come società», hanno scritto i vescovi, «abbiamo il diritto di conoscere bene tali temi, di riflettere su di essi e di discuterli. Le organizzazioni sociali, politiche, economiche e religiose devono, per tanto, assumersi questo importante compito con determinazione e responsabilità, senza rimanere ai margini del dibattito come semplici spettatori passivi o indifferenti». Fatta questa premessa contro l’indifferenza e a favore della necessità di un impegno sociale sui temi decisivi, i presuli hanno formulato il loro appello a difesa della vita nascente.

Un appello indirizzato in primo luogo ai «pastori del popolo di Dio» e alle famiglie affinché espongano «con chiarezza e coraggio i loro argomenti scientifici, etici e legali, liberi da ogni posizione fondamentalista, che sia di natura sociale, politica o religiosa». Ora, potrebbe apparire paradossale che degli esponenti religiosi chiedano di intervenire sul dibattito pubblico con «argomenti scientifici, etici e legali, liberi da ogni posizione fondamentalista» eppure, in realtà, il paradosso è solamente apparente. Infatti, scrivono sempre i vescovi, «la vita umana è al di sopra di ogni schieramento politico o religioso, o di posizioni erroneamente qualificate come conservatrici o progressiste».

Di qui l’invito a darsi da fare per «assicurare la dimensione etica della vita umana, in particolare la sua dignità e libertà», basato su almeno due ordini di ragioni. Il primo riguarda, secondo i presuli, l’incompatibilità tra l’aborto e i principi costituzionali dello Stato dell’Ecuador; il secondo concerne la natura malvagia dell’aborto, da rigettare come delitto. Per il semplice motivo che, se si smette di considerare la soppressione prenatale in questi termini, da un lato si perde di vista la realtà oggettiva di tale pratica e, dall’altro, diviene impossibile condannarla in quanto tale. Molto meglio, concludono i vescovi, non depenalizzare l’aborto e investire nella «formazione dei giovani alla dimensione affettivo-sessuale» della persona «nell’ambito di una pedagogia dell’amore e del rispetto reciproco tra uomini e donne».

Occorre attivarsi in questo senso, argomenta la nota, perché «senza etica, la scienza medica si trasforma in crudeltà, la legge in tirannia, la politica in corruzione e la religione in condanna rigorosa e spietata». L’appello della Chiesa ecuadoriana contro la depenalizzazione dell’aborto è dunque stato chiarissimo. Verrà ascoltato? Ora non resta che augurarselo.

Giuliano Guzzo

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