05/01/2016

Donne in Cina, nel regno della violazione dei diritti umani

In Cina il regime del Partito Comunista continua a calpestare i diritti di tutti, non solo delle donne. Ma in talune circostanze (vedi la politica di pianificazione familiare – di uno o due figli, è lo stesso) sono proprio le donne a essere le principali vittime.

Nel bel mezzo di una notte d’inverno, nel novembre del 2012, Wang Gongying, una donna di 60 anni, venne svegliata da un gruppo di uomini che fece irruzione in casa sua e che trascinandola fuori dal letto, la condusse in una pensione abbandonata. Lungo il percorso gli uomini schiaffeggiarono talmente forte la donna, che quando arrivarono alla pensione, Wang era irriconoscibile. Gli uomini che rapirono Wang volevano impedirle di recarsi agli uffici governativi di livello superiore, dove la donna voleva andare per effettuare una denuncia nei confronti dei funzionari del governo che avevano imposto alla figlia di sottoporsi a sterilizzazione.

Essenzialmente, la cattura della signora Wang aveva come finalità quella di costringere la figlia, che si era nascosta, a sottoporsi a tale operazione. La signora Wang che già soffriva di cuore, venne maltrattata e picchiata brutalmente e solo dopo tre giorni di detenzione le venne data la possibilità di chiamare la sua famiglia. Venuti a conoscenza della situazione, i familiari si rivolsero alla polizia che però rifiutò di essere coinvolta in tale situazione.

Questo, purtroppo, è solo uno dei tanti casi che mostra quali siano le condizioni a cui sono sottoposti coloro che vengono detenuti nelle illegali prigioni nere.

Le donne costituiscono la stragrande maggioranza dei detenuti nelle prigioni nere. Spesso vengono arrestate per intimidire o punire i membri della loro famiglia che sono ritenuti “socialmente pericolosi” o che costituiscono una minaccia alla stabilità. All’interno delle carceri nere, le donne sono soggette a violente aggressioni fisiche e spesso ad abusi sessuali. Oltre a ciò, le guardie, di frequente, costringono queste donne a stare rinchiuse al buio senza cibo né acqua anche per lunghi periodi. Tali condizioni, disumane e degradanti, spesso portano a contrarre malattie anche gravi, per le quali, nella maggior parte dei casi, vengono negate le cure mediche. Inoltre non pochi sono stati i casi in cui, lo stress da isolamento e le condizioni terribili hanno spinto le donne detenute a tentare il suicidio.

Lo scopo principale di questi centri è quello di obbligare i dissidenti a rinunciare alla presentazione di rimostranze. I “centri di servizi di soccorso” sono gestiti direttamente dal governo, hanno la funzione specifica di rimandare nelle loro città di origine i migranti, coloro che si recano in città per firmare petizioni o cercare giustizia e tutti gli altri soggetti che sono considerati dal governo “indesiderati”. In questi centri gli abusi sono all’ordine del giorno e il sovraffollamento e la scarsa igiene rendono tali luoghi invivibili. Una volta che le autorità hanno riportato i vari soggetti nelle loro città, questi vengono direttamente rinchiusi nelle black jails locali.

prigione_Cina_donne_libertaI funzionari governativi che si occupano degli arresti dei dissidenti e della loro detenzione all’interno delle prigioni nere, sono stati incentivati all’utilizzo di tale sistema, dall’allocazione da parte del governo di tasse per il “mantenimento della stabilità”. Le entrate derivanti da tali tasse, pagate dai cittadini, permettevano al governo di “premiare” i funzionari che riuscivano a intercettare il maggior numero possibile di dissidenti che tentavano di raggiungere Pechino. Le black jails, sono così diventate lo strumento chiave per arginare il flusso dei firmatari verso Pechino e punire i dissidenti al fine di “mantenere la stabilità”.

La detenzione illegale e i maltrattamenti a cui vengono sottoposte le persone all’interno delle prigioni nere, contravvengono a una serie di leggi e trattati internazionali sui diritti umani che la Cina avendo firmato o ratificato è obbligata a rispettare. Infatti, la Cina oltre ad essersi rivelata inadempiente degli obblighi prescritti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, non ha rispettato nemmeno quanto previsto dal Patto sui diritti civili e politici firmato nel 1998 e dalla Convenzione contro la tortura ratificata nel 1988. Il fatto che la Cina si sia rifiutata di ratificare il Patto sui diritti civili e politici non scioglie il vincolo all’adempimento dello scopo e dell’oggetto del Patto stesso.

Risulta, inoltre, evidente come la Cina abbia anche omesso di attuare la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne che ha ratificato nel 1980.

La detenzione illegale e gli abusi sulle donne all’interno delle carceri nere, costituiscono una violazione anche della legge nazionale sulla protezione dei diritti e degli interessi delle donne adottata nel 1992.

Lo stesso diritto penale cinese, prevede una reclusione fino a tre anni per chiunque detiene illegalmente un’altra persona o in violazione della legge, priva un soggetto della sua libertà personale con qualsiasi altro mezzo. Per i trasgressori, inoltre, il diritto penale prevede un punizione peggiore qualora siano ricorsi a percosse e umiliazione.

La privazione delle cure mediche, frequente nelle black jails, viola la Costituzione cinese che garantisce ai cittadini cinesi l’assistenza materiale nel caso di malattie.

Infine, l’uso di tali luoghi di detenzione temporanea al fine di punire i dissidenti, oltre a violare tutte le normative nazionali che tutelano il diritto dei cittadini cinesi a presentare rimostranze, violano la Costituzione stessa che prevede il diritto dei cittadini di criticare o dare suggerimenti a qualsiasi organo o funzionario dello Stato.

Ma in ogni sistema dittatoriale che si rispetti, si sa, le legge non vale per tutti, ma solo per quelli invisi a chi detiene il potere.

Il problema fondamentale è costituito dal fatto che nonostante ci siano abbondanti prove del contrario, il governo cinese continua a negare l’esistenza delle prigioni nere. Oltre a negare l’esistenza delle prigioni nere, il governo cinese non ha nemmeno adottato misure efficaci volte a perseguire i responsabili degli abusi commessi all’interno di tali strutture.

Per le vittime della detenzione illegale e degli abusi, è praticamente impossibile ottenere un risarcimento e ciò è dovuto principalmente a due ostacoli. Il primo ostacolo è costituito dal fatto che le strutture di detenzione sono gestite al di fuori del sistema legale cinese. Il secondo ostacolo è che le autorità che gestiscono le prigioni nere sono protette dagli organismi che dirigono l’applicazione della legge e i sistemi giudiziari.

E’ proprio la mancanza di indipendenza degli organi giudiziari cinesi che lascia le vittime delle prigioni nere senza la possibilità di ottenere giustizia per ciò che hanno subito.

Sara Alessandrini

Fonti:

  • H. WU, C. GOODRICH, A Jail by Any Other Name: Labor Camp Abolition in the Context of Arbitrary Detention in China in The human rights brief. 
  • M. WAN, Human rights lawmaking in China: domestic politics, International law, and Internetional politics in Human rights quarterly

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