24/10/2018

Dove c’è vita umana, c’è una persona: così è fin dall’antichità

La Corte Suprema dell’Alabama, come abbiamo più estesamente riferito qui, ha deciso venerdì scorso sul caso Jessie Phillips vs. lo Stato dell’Alabama, dichiarando che «il valore della vita di un nascituro non è inferiore al valore della vita di altre persone». Secondo il Brody Act, una legge vigente in Alabama da circa 12 anni, la definizione di “persona” include anche il  bambino nel grembo materno. E la giurisprudenza dello Stato in diverse occasioni ha riconosciuto la personalità del concepito.

Vela_7_aborto_bambinoLa base di queste norme, che sussistono anche in molti altri Stati federati, è il XIV Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti; e sul riconoscimento della personalità giuridica del concepito nell’ordinamento americano ci ha fatto riflettere un articolo di Joshua Craddock sul Journal of Law and Public Policy.

In esso si rileva che i concetti di umanità e personalità nel linguaggio comune – e anche in quello giuridico – sono stati da sempre considerati sinonimi intercambiabili: dove esiste la vita umana, esiste la persona. E infatti in tutti gli Stati (23, più 6 “territori”) in cui a suo tempo è stato ratificato il XIV Emendamento, l’aborto procurato è sempre stato considerato reato contro la persona.

Il senatore Jacob Howard, che promosse il XIV  Emendamento  nel 1868 (ricordiamo che ciò è avvenuto quando è stata abolita la schiavitù, per rimarcare i diritti umani delle persone di colore), nel suo discorso al Senato dichiarò espressamente che lo scopo della norma era impedire alle leggi degli Stati federati di «privare non solo i cittadini degli Stati Uniti, ma qualsiasi persona, chiunque egli sia, della vita, della libertà e della proprietà senza un giusto processo».

Thaddeus Stevens, nella stessa occasione, alla Camera, definì l’emendamento un mezzo per garantire la  perfetta uguaglianza di ogni essere umano di fronte alla legge.

Ma sarebbe un controsenso che la persona del concepito fosse protetta in qualche Stato sì e in qualche altro no. La common law inglese, infatti, già a metà del XIII secolo definiva l’aborto come omicidio. E nell’antichità si considerava persona degna di tutela legale il bambino nel grembo dal momento in cui lo si sentiva muovere. Il termine poi è stato via via anticipato e già nell’Ottocento si riteneva che la persona nel grembo esistesse dal concepimento. Quanto agli Stati Uniti, la madre e il bambino sono sempre stati considerati uguali nella loro personalità.

Non a torto, quindi, l’articolo in questione conclude che le leggi abortiste violano innanzitutto il principio di uguaglianza, che nella Costituzione italiana è sancito nella pari dignità sociale di ogni cittadino (art.3, 1° comma) e dal riconoscimento dei diritti inviolabili a ogni uomo (art. 2).

E non è solo una questione di definizione giuridica, è un dato di fatto oggettivo: il tema della  March for Life del prossimo gennaio 2019 è proprio “Unique From Day One: Pro-life Is Pro-Science” (“Unico dal giorno 1: essere pro vita è essere pro scienza”). Come abbiamo ricordato in diverse occasioni, lo zigote, la prima cellula formatasi dall’incontro dello spermatozoo con l’ovulo, già contiene tutto il DNA della persona, diverso da quello di qualsiasi altro essere umano che sia mai esistito le impronte digitali che ci contraddistinguono  sono già determinate da quel Dna del primo giorno.

Il delirio di onnipotenza positivistico ha però indotto l’uomo a cercare di negare – a seconda dell’ideologia dominante – le leggi scritte nella natura umana. Se nella prima metà dell’Ottocento si consideravano “non persone” quelli di colore, e nel Terzo Reich gli Ebrei, oggi nel mondo cosidetto civile e democratico, sempre pronto a perorare la causa dell’uguaglianza (spesso confusa di fatto con un malsano e ingiusto egualitarismo), si considerano non persone i bambini nel grembo materno.

Eppure, proprio qui in Europa, nella culla del diritto, già Ippocrate giurava di non praticare l’aborto e  gli antichi Romani, che pure concedevano al pater familias lo ius vitae ac necis nei confronti di moglie e figlioli, assegnavano al concepito un curator ventris riconoscendo quindi che nel grembo della madre non c’era qualcosa, ma qualcuno, un portatore di interessi. Perciò, anche il nostro attuale codice civile riconosce – sia pure sotto la condizione risolutiva della non nascita – i diritti a favore del concepito (art. 1, comma 2). E così la legge 40/2004 e diversi testi di norme internazionali... persino la nostra Corte Costituzionale – che pure ha sdoganato la legge 194 e ha abbattuto quei pochi paletti che la legge 40 poneva a parziale tutela del concepito – in due sentenze, nel 2015 e nel 2016, ha detto che gli embrioni – anche malformati – «non sono mero materiale biologico» e non possono essere trattati come cose.

Le leggi che consentono la soppressione del più piccolo e indifeso nell’interesse del più grande sono leggi ingiuste (non-leggi, diceva Cicerone) perché calpestano la legge naturale. Sono leggi incivili a qualsiasi latitudine, se ancora ha senso al giorno d’oggi parlare di civiltà.

Francesca Romana Poleggi

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