14/06/2014

Educazione sessuale premessa per la cultura abortista

Tutto parte dall’educazione sessuale, quella condotta in un “certo modo”, quella pragmatica e fredda. Quella in cui non si parla di sentimenti ma di meccanismi, dove l’amore lascia spazio al desiderio.

A questi stimoli vengono sottoposti i minori nelle scuole, vengono indottrinati ed invogliati a non farsi mancare nulla. Tanto poi c’è il “rimedio”. C’è l’aborto.

Riportiamo l’intervista a Carol Everett, ex abortista ora attivista per la Vita, in cui viene ben spiegato questo meccanismo di input/output a cui le nuove generazioni sono costrette.

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L’educazione sessuale usata come grimaldello, per inculcare nelle nuove generazioni una cultura contraccettiva ed abortista: quel che sino ad ieri era un’evidenza comprovata dai fatti, ora diventa a maggior ragione un’esplicita ammissione di colpa da parte degli stessi, che fino ad ieri ordirono il vile tranello: Carol Everett, tra il 1977 ed il 1983, diresse una catena di quattro cliniche abortiste nel Texas, Stati Uniti. E’ responsabile di circa 35 mila aborti, una cifra impressionante.

Alcuni anni dopo si è pentita ed ha abbandonato il proprio redditizio incarico. Nel corso di un evento di beneficienza, promosso dopo la Marcia per la Vita di Ottawa, ha reso pubblica la sua testimonianza, subito raccolta e diffusa dalla sede canadese di LifeSiteNews.

La dottoressa Everett ha spiegato come il suo fosse un lavoro su commissione: più aborti, più soldi. «Avevamo raggiunto l’obiettivo d’indurre ogni ragazza tra i 13 ed i 18 anni ad abortire tra le tre e le cinque volte». Incredibile! Ma tale risultato non era frutto del caso: alle spalle v’era anzi una precisa strategia, studiata nel dettaglio ed a tavolino.

Occorreva innanzi tutto far sentire l’esigenza nei giovani, provocare il bisogno: per far questo, si doveva mutare il loro punto di vista sulla sessualità, erodere il loro senso naturale del pudore, separarli dai loro genitori e dai loro valori sin dall’asilo nido, insegnando poi loro in terza elementare cosa fosse un rapporto sessuale, in quarta gli atti impuri, indottrinandoli poi esplicitamente a vedere nell’aborto una soluzione possibile, anzi praticabile, quindi inevitabile.

Bastava esporli all’”effetto ombrello”: «Chi assume la pillola pensa di potersi ritenere al sicuro da gravidanze indesiderate ed è quindi più propenso ad avere – e con maggior frequenza – rapporti sessuali di chi non assume la pillola», ricorda la dottoressa Everett. Ma gli abortisti – e l’averlo riconosciuto è la novità – distribuivano di proposito un tipo di pillola, che sapevano fallire con maggior facilità.

In questo modo, complice l’educazione sessuale precedentemente inculcata, di fronte ad una gravidanza era semplice, quasi naturale al personale appositamente addestrato, proporre alla ragazza incinta l’aborto come unico “rimedio”: «In questo modo conseguimmo il nostro obiettivo di 3-5 aborti tra i 13 ed i 18 anni», precisa. Una minorenne era addirittura venuta in uno dei centri diretti da Carol Everett per abortire per la nona volta!

«Quando il telefono suonava, eravamo pronti – ricorda – Avevamo formato in modo preciso il nostro personale, come un telemarketing capace di superare qualsiasi obiezione. Vendevan l’aborto per telefono». Da qui l’appello accorato di Carol Everett a vigilare sugli insegnamenti che figli e nipoti ricevono nelle scuole: «Vi esorto ad andare nelle biblioteche e nelle scuole e verificare quali testi si usino per l’educazione sessuale». Non farlo espone le nuove generazioni a pericoli troppo grandi…

Fonte: Corrispondenza Romana

 

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