04/01/2018

«Ero un uomo duro, l’aborto mi ha spezzato il cuore»

Un articolo di National Right to Life News riporta le parole di un uomo straziato da un evento traumatico, che l’opinione pubblica considera segno di emancipazione: l’aborto del suo bambino.

Lontano dalla sua patria, dopo sette anni di servizio militare in posti di guerra, che lo hanno reso un uomo duro e forte, il soldato che ci ha offerto la sua testimonianza afferma di aver vissuto con una donna l’esperienza più bella della sua vita.

E così fu finchè, da quella storia d’amore così bella ed intensa tra i due, non germogliò una nuova vita nel grembo di lei, che, di questo venne a conoscenza solo mentre lui era in un altro Paese.

Ma lei non se la sentiva di dare alla luce quel bambino, nonostante il suo uomo l’avesse supplicata di tenerlo in vita, promettendo di provvedere a tutto il necessario per lui.

Fece così ricorso ad un aborto volontario che stroncò non una, bensì due vite: quella del bambino e quella del soldato, il cui dolore, come egli stesso, stupito, confessa, fu tale da spezzargli il cuore e riempirlo di uno spaventoso senso di futilità, rendendolo un uomo annientato dall’uccisione di suo figlio, sulla quale, per legge, non ha potuto mettere bocca.

E così l’aborto sarebbe una conquista, quando non solo azzera la rilevanza sociale dei padri ma causa danni fisici e psichici alle madri? Chi è che ne gioisce? Solo chi ne trae profitti economici, perché le donne che abortiscono non sono mai veramente libere di farlo ma ingannate ed insieme ai padri restano vittime dei traumi post-aborto.

Riflettiamo sul loro dolore e chiediamoci davvero se è giusto che tanti altri genitori soffrano così e che tanti altri bambini siano uccisi.

Luca Scalise


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