06/04/2016

Eutanasia, prelievo degli organi, consenso, omicidio

Abbiamo già detto della proposta, pubblicata sul prestigioso “Journal of Medical Ethics” dello scorso 24 marzo, di prelevare gli organi da pazienti sottoposti ad eutanasia mentre sono ancora vivi

Vediamo qui in modo più approfondito le implicazioni bioetiche e biogiuridiche connesse a tale pratica.

L’articolo, a firma di Jan Bollen e di altri ricercatori dell’Università di Maastricht, propone di rivedere la pratica di prelievo degli organi dai pazienti eutanasizzati per effettuare una simile procedura non dopo la loro morte, ma prima della stessa, ottimizzando il risultato di esito positivo del prelievo.

L’articolo dal significativo titolo “Legal and ethical aspects of organ donation after euthanasia in Belgium and the Netherlands” rileva che la donazione dell’organo dopo l’eutanasia è stata eseguita più di 40 volte in Belgio e in Olanda insieme e che i risultati preliminari delle procedure che sono state eseguite fino ad ora hanno dimostrato che questo ha condotto a buoni risultati medici per il soggetto ricevente, inducendo a ritenere che aspetti legali diversi potrebbero essere cambiati per facilitare ulteriormente la combinazione di donazione di organi ed eutanasia.

Gli autori si chiedono se, considerati gli ottimi risultati conseguiti, le procedure, cioè quella eutanasica e quella di prelievo degli organi, devono essere rigorosamente separate e se deve essere ancora applicata rigorosamente la regola del donatore deceduto, invece di procedere con il donatore ancora vivente per garantire una migliore protezione degli organi da trapiantare.

Tralasciando per motivi di spazio l’intima e problematica relazione tra eutanasia e trapianto di organi che si propone come qualcosa di assolutamente scontato, dimenticando invece tutte le difficoltà mediche, deontologiche, giuridiche ed etiche che una tale commistione solleva, ciò che più urge evidenziare in tale sede è la proposta di procedere al prelievo degli organi prima della morte del soggetto da eutanasizzare.

I problemi più emergenti sono quelli che, ad una rapida ricognizione, coinvolgono il consenso e la dimensione prettamente giuridica legata al rapporto del nesso causale in ordine alla determinazione dell’azione tanatofera.

E’ già stato provato il verificarsi di veri e propri abusi nella pratica dell’eutanasia oramai legalizzata in Belgio ed Olanda, come tra i tanti casi citabili ricorda il Washington Post lo scorso 24 febbraio: vi sono stati ben 37 persone autistiche sottoposte ad eutanasia in violazione delle procedure legali previste dalla legge olandese e perfino senza il consenso dei pazienti medesimi Perciò occorre chiedersi quanto spazio di tutela possa effettivamente trovare la volontà del paziente in tale nuova ridefinizione della procedura di prelievo degli organi.

In primo luogo, infatti, non è detto che il paziente da sottoporre ad eutanasia abbia espresso il suo consenso in tal senso (come dimostrano i 37 casi più sopra citati ), trasformando l’eutanasia da volontaria ad involontaria.

In secondo luogo, non è detto che il paziente che abbia pur espresso la propria volontà di essere sottoposto a pratica eutanasica abbia altresì prestato il consenso per la donazione dei propri organi, con il rischio evidente di trasformare la donazione di organi in prelievo forzoso. Si assiste così alla metamorfosi da una procedura consensuale ad una procedura coattiva in violazione, tra i tanti principi etici e le tante norme giuridiche citabili, proprio della Dichiarazione di Istanbul sul traffico di organi del 2008 in cui così si legge:«Per traffico di organi si intende il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’occultamento o la ricezione di persone viventi o decedute o dei loro organi attraverso la minaccia, l’uso della forza o di altre forme di coercizione oppure mediante il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o lo sfruttamento di una posizione di vulnerabilità ».

Il secondo problema risiede proprio nella ipotesi di procedere al prelievo prima della morte: in tal caso, trattandosi per lo più di organi vitali come il cuore, i polmoni, il fegato, non si può fare a meno di notare che la morte del paziente non interverrebbe più per l’eutanasia in sé considerata, ma semmai per il prelievo degli organi vitali medesimi, spostando tutto il baricentro della questione etico-giuridica da un punto ad un altro, cioè dall’eutanasia pur volontaria all’omicidio del paziente, anche se consenziente, per finalità transplantatorie.

Proprio tutta quella base dottrinale e giurisprudenziale che nel tempo ha affinato la differenza tra “uccidere” e “lasciar morire” viene cancellata in un sol colpo da una tale prospettiva in cui, in sostanza, l’eutanasia e il prelievo finiscono insomma per sovrapporsi fino ad identificarsi del tutto.

Occorre quindi chiedersi se il trapianto di organi possa o debba avere effetti o finalità, direttamente o indirettamente, eutanasiche, rischiando di sovvertire non solo la base etica della donazione di organi, ma soprattutto il ruolo e la funzione del medico che diventerebbe così un semplice procacciatore di organi violando quella sua propria costitutiva deontologicità riassunta dalle parole di Hans Jonas secondo il quale «il paziente dev’essere assolutamente sicuro che il suo medico non diventi il suo boia e che nessuna definizione lo autorizzi mai a diventarlo ».

In tale evenienza, inoltre, non si può fare a meno di notare, si va ben oltre la normale pratica eutanasica e quella della donazione di organi ( anche in un’ottica samaritana ), in quanto intervenendo la morte del paziente come conseguenza del prelievo degli organi, prelevati appunto prima della morte, il paziente stesso, consensualmente coinvolto o meno, viene leso nella sua dignità di persona in quanto ridotto e considerato mero deposito di pezzi di ricambio da tenere in vita soltanto a tal fine e soltanto fino a quando ogni pezzo utilizzabile sarà stato effettivamente utilizzato.

Non ci si discosta molto, insomma, dalla tesi sostenuta di recente da Walter Glannon a proposito della irrilevanza morale della morte e dell’accertamento della stessa nel caso di donazione di organi.

In questa prospettiva appare del tutto dimenticata la fondamentale e inderogabile scoperta kantiana intorno al cuore della dignità umana:« L’umanità in se stessa è una dignità, poiché l’uomo non può essere trattato da nessuno come un semplice mezzo, ma deve sempre essere trattato nello stesso tempo come un fine ».

Aldo Vitale

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