15/12/2017

Fine vita – Due anni di eutanasia in Quebec: i fatti

Mentre i nostri sciagurati senatori approvavano la legge sul fine vita (DAT, biotestamento o con nome veritiero eutanasia), leggevo un articolo scritto da Aubert Martin il direttore esecutivo di Vivre dans la Dignité (Vivere con dignità), un’associazione con sede in Quebec.

La legge che legalizza l’eutanasia in Quebec è chiamata con l’eufemismo neolinguistico “aiuto medico nella morte” (da noi l’hanno chiamata “biotestamento” o DAT).

E’ entrata in vigore il 10 dicembre 2015. Molte promesse hanno preceduto la sua approvazione: che sarebbe stata una misura eccezionale per casi eccezionali, che ci sarebbero state misure di salvaguardia per prevenire gli abusi e che criteri molto severi avrebbero dovuto proteggere le persone vulnerabili.

In ogni caso, i media di regime hanno detto e fatto credere che era “prima di tutto una legge sull’accesso alle cure palliative di qualità per tutta la provincia”.

Bugie analoghe, anche se non identiche – mutatis mutandis – le hanno strombazzate qui da noi: le parole chiave sono state autodeterminazione, libertà, vita degna di essere vissuta, accanimento terapeutico...

Oggi, abbiamo il riscontro concreto di quali sono i dati di  fatto, in Quebec,  dopo due anni.

Un centinaio di richieste di “aiuto medico alla morte” nel primo anno,  469 persone  morte per eutanasia nel 2015-2016 e 638 in questo 2017.

Confrontando questi numeri con quelli del Belgio, su base percentuale,  osserviamo che in Quebec la morte si è propagata in modo di gran lunga più veloce: è la soluzione ad ogni sofferenza.

Le “garanzie” promesse non hanno funzionato.  Innanzitutto,  il medico che valuta il paziente e fa la diagnosi è anche colui che poi lo uccide, ed è lo stesso che poi completa il modulo di dichiarazione per spiegare alla commissione di supervisione la conformità del suo atto alla legge: nessuno dichiarerà di aver violato la legge, vi pare?

Nonostante ciò la Commissione sur les de vie de vie (CSFV), incaricata di supervisionare  l’applicazione della legge, ha riportato 21 casi di abuso durante il primo anno e  31  nell’anno successivo (chissà quanti non sono stati segnalati): intanto queste persone sono morte ed è difficile che si possa “risarcire” loro i danni.

Per di più, il College of Physicians, non punì nessuno quindi la porta è spalancata per chi voglia volare la legge o interpretarla a modo suo:  è praticamente garantita l’impunità.

Nel frattempo, in questi due anni l’eutanasia in Quebec non è stata affatto eccezionale: le clausole di salvaguardie vengono considerate “barriere all’accesso di un diritto” e i criteri severi intesi a proteggere le persone vulnerabili, sono diventati “crudeli e discriminatori”.

Già si caldeggia l’accesso all’eutanasia a persone che non sono in fine vita, agli incapaci, ai minori e a coloro  che soffrono di disturbi psichiatrici. E, soprattutto, l’eutanasia che era stata presentata una scelta personale, in nome della famosa “autodeterminazione”, è diventata una scelta fatta da qualcun altro per il malato.

In fine, le cure palliative sono state abbandonate (ricerca, finanziamenti ed altro) perché è ovviamente molto più pratica, facile ed economica l’eutanasia.

Ciò non sorprende, visto che  l’eutanasia è stata venduta come un beneficio, un gesto di compassione e persino una forma di assistenza sanitaria.

Chissà qui da noi come andrà a finire. Penso che forse sarà il caso in cui tutti stiliamo un biotestamento, scrivendo chiaro chiaro qualcosa del genere: “Non voglio che la mia vita sia abbreviata: non staccatemi i supporti vitali. Confido nella scienza e coscienza del medico (preferirei fosse un cattolico praticante) che sarà in grado di evitare su di me qualsiasi forma di accanimento terapeutico”...

Insomma: “lasciatemi morire quando lo decide il Padreterno, non il “fiduciario”o – peggio – il giudice”. 

Francesca Romana Poleggi

Fonte: National Right to Life


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