06/07/2018

Galles: primo passo verso l’aborto domestico

Il ministro della salute del Galles, Vaughan Gething, il 29 giugno ha annunciato che la seconda fase della procedura di aborto farmacologico si potrà completare tranquillamente a casa. Nella nota informativa il ministro si è detto lieto di informare «che l’approvazione, che consente di assumere a casa la seconda dose di medicina per l’interruzione di gravidanza, è stata rilasciata oggi ai consigli sanitari».

Non è ancora chiaro per mezzo di quali prerogative l’onorevole Gething abbia modificato la disciplina, dal momento che il governo del Galles non ha il potere di emendare l’Abortion Act del 1967. John Deighan, presidente della Society for protection of unborn children, ha giustamente osservato che: «in primo luogo, la casa non è un luogo approvato per gli aborti e, in secondo luogo, la legge richiede la presenza di personale medico, infermieristico o clinico durante la procedura»; e inoltre che una simile decisione «equivale, di fatto, ad autorizzare gli aborti clandestini: una mossa del genere non solo pone rischi terribili per la salute di molte donne, ma banalizza [ancor di più, aggiungiamo noi, n.d.r.] i diritti e la vita dei loro bambini».

La decisione, com’è ovvio, è stata accolta favorevolmente dal British pregnancy advisory service (sostanzialmente un provider di aborti) e dalla laburista Diana Johnson. Il Royal College of Midwives (l’associazione britannica del personale ostetrico) ha affermato che si tratta di una «mossa sensibile e pratica». Sì, in effetti dover attendere tutto quel tempo in ospedale è una seccatura; per non parlare del dover uscire di casa. Così, anche in Galles, è stato mosso un primo passo verso la totale abolizione della procedura ospedaliera.

Un altro segnale che indica qual è la meta: l’aborto solitario e incontrollato, esattamente ciò che la “salute delle donne” richiede (*). Solo l’ideologia può impedire di vedere cosa si cela dietro questa ipocrita “premura pragmatica”. Il vero interesse del fronte pro-choice è liberare l’aborto da qualsiasi limite, banalizzarlo alla stregua di un raffreddore, e fare in modo che questa esperienza sia vissuta nel nascondimento delle mura domestiche. Così finalmente anche gli ultimi residui di rilevanza pubblica del fenomeno saranno spariti e la donna emancipata potrà assumere un farmaco abortivo come fosse un’aspirina.
Questo nella mente degli abortisti. La realtà sarà sempre un’altra cosa…

Vincenzo Gubitosi

(*) Val la pena ricordare in breve che la mortalità delle donne a seguito di aborto farmacologico è dieci volte più probabile che dopo l’aborto chirurgico. Anche le possibili complicazioni sono frequenti e possono essere anche gravi (emorragie, infezioni, vomito, dolori lancinanti): è da “femministi” lasciar sole le donne ad affrontarle? E val la pena ricordare  che le donne che abortiscono con la RU486 spesso vedono in modo distinto, una volta espulso (spesso nel WC), quel figlio che hanno abortito e che non è esattamente un “grumo di cellule” (la foto in evidenza mostra come eravamo circa 20 giorni dopo il concepimento).

Fonte:
S.P.U.C.

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