13/07/2016

Gender: in UK la disforia di genere si scopre con Skype

Laddove l’ideologia gender domina, accadono delle vere e proprie barbarità.

Il Regno Unito, purtroppo, ne è un esempio, essendo uno dei Paesi più obbedienti nell’applicare l’agenda della lobby LGBT.

Abbiamo già visto che negli ultimi anni sta aumentando esponenzialmente il numero dei bambini che soffrono la disforia di genere, ovvero non si riconoscono nel proprio sesso biologico. Ritorna sul punto anche Zenit, con un ottimo articolo di Federico Cenci.

Nonostante quel che dice  la propaganda gender, si tratta di un disturbo psicologico che può e deve essere curato, aiutando il bambino ad armonizzarsi con la sua identità sessuale. La soluzione non è certo il transessualismo o il transgenderismo. Eppure sappiamo bene che proprio quest’ultima è la strada scelta da vari Paesi “illuminati”.

Proprio nel Regno Unito impazza il trattamento ormonale per arrestare la pubertà di questi bambini, come primo passo verso un intervento chirurgico. Fermando lo sviluppo, sarebbe possibile scegliere con serenità a quale sesso appartenere e dunque intervenire medicalmente (ovviamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, dunque dei cittadini). Purtroppo è pratica diffusa nel nord Europa, in America e anche a Firenze, all’ospedale Correggi.

Nel Regno Unito, nel 2015 sono stati registrati 1.398 casi di disforia di genere, più del doppio dei 697 del 2014 (nel 2010 erano 97). In soli nove mesi del 2015, ben 2,7 milioni di sterline sono state stanziate per somministrare ai bambini interessati farmaci che ne bloccassero la pubertà.

Un medico di base gallese, la dottoressa Hellen Webberley ha avuto la “brillante” idea di fondare una clinica in cui accelerare le procedure (attualmente è previsto che bisognerebbe ricevere il trattamento entro le 18 settimane di attesa: troppo per la dottoressa!).

L’idea però non trova d’accordo tutti. Il dottor James Barrett, psichiatra consulente presso la Charing Cross Clinic, la prima in Gran Bretagna ad occuparsi di disturbi dell’identità sessuale, ritiene ad esempio «che sia avventato intervenire con farmaci così incisivi su bambini che ancora non hanno raggiunto l’età della pubertà”. Infatti nella maggior parte dei bambini la disforia di genere rientra spontaneamente con l’adolescenza.

Lo psichiatra ha inoltre espresso preoccupazione per il fatto che nella clinica della dott.ssa Webberley si interagisce con molti di questi piccoli attraverso e-mail, telefono o Skype per stabilire la diagnosi.

Quello che accade in Gran Bretagna, secondo Chiara Atzori, «sembra segnalare la spinta ad assecondare una moda, quella della autodeterminazione dell’identità sessuata, estendendola ai soggetti pediatrici, quasi a validare le pretese di alcune potenti lobby pro-gender».

Basti pensare alla scuola. L’ultima è che hanno avviato «un corso di un giorno riservato agli insegnanti per fare della scuola britannica un ambiente il più possibile “trans-inclusive”, per eliminare “stereotipi di genere”». Ma di esempi se ne possono fare tante, come abbiamo riferito varie volte.

Redazione


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