22/05/2013

Gracidano come rane i bambini cinesi che non sono nati

Una storia ispirata al controllo delle nascite che negli Anni 60 portò alla legge del figlio unico narrata con tragicomico umorismo e fantasia

Il nuovo romanzo del Premio Nobel Mo Yan, dal titolo Le rane, uscito in Cina nel 2009 e ora da Einaudi nella bella traduzione di Patrizia Liberati, ha una struttura originale e composita. Ci sono cinque lettere datate primi anni Duemila e firmate Girino, pseudonimo di un immaginario drammaturgo Wan Zu, Wan il Piede, alter ego dell’autore e io narrante, indirizzate a un letterato giapponese, Yoshihito Sugitani, dopo che questi ha tenuto in Cina una conferenza sul tema «Letteratura e vita»: quattro introducono altrettanti spezzoni narrativi distribuiti in un arco di tempo di settant’anni, dai Trenta in poi, a formare il romanzo; la quinta sta in capo a un’opera teatrale in nove atti, Le rane, che a detta del narratore «forse non sarà mai messa in scena».

I testi, composti su sollecitazione dello stesso Sugitani, si completano. C’è un antefatto: durante l’occupazione giapponese in Cina il padre di Sugitani, comandante stan ziato a Pingdu, ha conosciuto la protagonista del libro Wan Xin, Wan il Cuore, che allora aveva sette anni e gli aveva tenuto testa e che diventerà la zia dell’io narrante. Da un lato la Grande Storia (guerra, fame,sofferenze), dall’altro il quotidiano dei contadini dello Shandong.

L’ambientazione è la zona a nordest di Gaomi, terra natale di Mo Yan e patria d’ispirazione di tutti i suoi libri. I personaggi, come sempre numerosi, hanno nomi di una parte o di un organo del corpo: Chen Bi, Chen il Naso, Wang Gan, Wang il Fegato, Xiao Shangchun, Xiao il Labbro superiore... Ma che cosa di più corporale delle pratiche relative a gravidanze e partorienti?
Il tema del libro è la maternità. Argomento impegnativo tanto più se legato al problema del controllo delle nascite che, in Cina a metà degli anni Sessanta, portò alla legge sul figlio unico. «Una coppia, un bambino» era lo slogan.

Mo Yan racconta rifacendosi alle esperienze personali e a quelle della sua gente, trasfigurandole con umorismo tragi-comico e giocosa immaginazione, con ricordi sedimentati e mai persi, salti temporali, anticipazioni e ritorni, pagine oniriche e visionarie.
Ispirandosi a una zia ginecologa reale crea un personaggio che ha del mitico. C’è un prima e un dopo la pianificazione delle nascite. Wan Xin, Wan il Cuore, ha studiato le nuove tecniche ostetriche e, una volta medico, con la sua bicicletta e la borsa delle medicine e degli strumenti, sfreccia per le campagne in aiuto delle partorienti e contro le mammane incompetenti e pericolose. Le sue mani d’oro hanno un che di taumaturgico: calmano madri in ansia, alleviano dolori e agevolano nascite felici.
Ogni neonato è motivo di soddisfazione e di orgoglio.

Wan Xin è una rivoluzionaria convinta, iscritta e fedelissima («il mio cuore è rosso»). Quando il Partito, per affrontare il problema sovrappopolazione e risorse, impone il controllo delle nascite, lei, facendo violenza a se stessa, applica le direttive alla lettera. Aborti per le donne e vasectomie per gli uomini. Il fervore non risparmia amici e parenti, provocando traumi devastanti e insanabili (anche la famiglia di chi narra è drammaticamente segnata). Così vediamo la zia inseguire col motoscafo una parente incinta del secondo figlio e non disposta all’aborto. Da eroina della vita a «diavolo incarnato».

Nell’ultima parte la zia, tra rimorsi e tormenti interiori e ossessionata di notte dal gracidio delle rane simile al vagito dei neonati (il termine «Wa» significa sia «rana», sia «bambino»), raccoglie in una sorta di santuario le statuine di tutti i piccoli mai nati. Epopea tragicomica e sofferto inno alla maternità, Le rane è un accorato libro di denuncia, all’interno di una scelta politica imposta dall’alto che la Cina ha dovuto e deve sopportare suo malgrado. E Mo Yan, in tutti i suoi libri, ha un atteggiamento critico palese. Significative sono le lettere poste in capo alle cinque parti.

Scrivendo a un collega giapponese, con inviti a tornare, Mo Yan lancia un segnale: un ideale ponte della pacificazione tra paesi da sempre rivali. Questo a smentire quanti gli rimproverano le sue scelte pubbliche. Sullo spinoso problema dei diritti umani, nella fattispecie sugli arresti domiciliari del Premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, Mo Yan si è limitato a un auspicio di una pronta e sollecita liberazione. Un’ombra. Nessuno è perfetto. Per uno scrittore contano le opere e il Premio Nobel per la Letteratura 2012 è di certo meritato.

di Angelo Z. Gatti

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