02/05/2013

I Buddisti tibetani e l’aborto

Ci scrive Tenzin Dadon, segretaria della comunità tibetana in Italia, sulla brutale applicazione della politica del figlio unico in Tibet, dove i neonati già si considerano di un anno di vita

Ancora oggi, nel 2013, fra le tante violazioni dei diritti umani nella Repubblica popolare cinese, non è consentito ai genitori di avere il numero desiderato di figli. A parte alcune eccezioni, la regola è che ogni coppia deve procreare un solo bambino. Anche per sposarsi e per mettere al mondo un figlio è obbligatorio ricevere un permesso dal governo. La legge repressiva sulla pianificazione familiare causa decine di migliaia di sterilizzazioni e aborti forzati all’anno. Il Governo Cinese si vanta, infatti, di aver “evitato”, dall’introduzione della politica del figlio unico nel 1979, ben 400 milioni di nascite.

In teoria questa politica avrebbe dovuto riguardare solamente le etnie con almeno dieci milioni di persone. Perciò in Tibet, con la sua popolazione di solo sei milioni, avrebbe dovuto essere escluso.

In realtà questa pratica di controllo delle nascite è stata imposta anche nel nostro paese dall’inizio degli ’80 ed ufficialmente dal 1982. La Cina ha applicato questa legge mediante pratiche barbare e disumane come le sterilizzazioni forzate e gli aborti forzati anche a gravidanza quasi a termine. Le donne tibetane sono state così brutalizzate, soprattutto nelle zone rurali, dagli operatori “sanitari” statali e dai funzionari della Pianificazione familiare. Oltre alle operazioni, imposte, spesso con violenza, sono state comminate pesanti sanzioni economiche, sono state distrutte case, arrestati mariti e altro, e tutto ciò solo per aver voluto dei figli. Così che le nostre giovani donne non solo perdono il figlio, ma sono costrette ad andare contro la loro fede religiosa.  Il Buddismo tibetano è basato sulla pace e la compassione per ogni essere vivente e quindi la vita umana va protetta sin dal concepimento. Un aborto forzato è quindi considerato il peggiore degli omicidi perché non solo si uccide una persona ma si costringe la madre ad abortirla, mediante iniezione, raschiamento od altre crudeli pratiche. Noi tibetani riteniamo che la vita di un bambino inizi prima del parto. Perciò quando nasce  un bimbo ha già un anno di età. A Dharamsala, l’Associazione delle donne tibetane organizza una veglia il 25 novembre, la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, per protestare contro le torture, gli abusi e gli aborti forzati inflitti sulle loro sorelle in Tibet. Non sussiste alcuna giustificazione per la Cina che impone questa politica disumana di pianificazione familiare nel nostro paese. Il solo scopo è eliminare il nostro popolo. Non a caso la Cina continua ad importare centinaia di migliaia di Cinesi di etnia Han in Tibet. Inoltre, questa crudele pratica è contraria alla “Dichiarazione del Quarto Congresso Mondiale delle Donne di Pechino” del 1995, alla “Convenzione Internazionale sulla Eliminazione della Discriminazione Contro le Donne” ed alla “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” e causa numerosi problemi di salute delle donne, e altri problemi sociali come le rivolte popolari e l’invecchiamento della popolazione. Nonostante ciò, le autorità politiche ed economiche nazionali ed internazionali continuano imperterrite a collaborare con Pechino. I mass media presentano, prevalentemente, l’immagine di una Cina in prodigiosa crescita economica e con un promettente progresso sociale. Sia le une che gli altri, quindi, alimentano il consenso e l’ammirazione per questo paese dove una dittatura commette crimini mostruosi sia sul suo popolo sia sulle minoranze come i Tibetani, i Mongoli e gli Uighuri, a vantaggio dei ricchi funzionari del partito.

di Tenzin Dadon 

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