29/10/2013

Il mondo alla rovescia

Il rapporto speciale dell’ONU sulla tortura del 2013 considera le leggi che vietano l’aborto come una forma di violenza sulle donne. Una ricerca scientifica internazionale dimostra, al contrario, che nei paesi dove l’aborto è legale le violenze sulle donne sono maggiori

Poter scegliere l’aborto libera la donna, le garantisce il riconoscimento di una maggiore dignità, la protegge dagli abusi e dalle violenze fisiche e psicologiche…” Lo si è affermato come slogan in Italia dal 1978 per promuovere l’interruzione di gravidanza e lo si afferma tuttora, anche in sedi come l’Onu che ha dichiarato che le legislazioni anti abortiste sono una forma di violenza verso il genere femminile.
E le ha collocate tra gli esempi di tortura, crudeltà, punizione o trattamento disumano e degradante ancora diffusi nel mondo (cfr. UN-Human Rights Council, Report of the Special Rapporteur on torture and other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment, Juan Méndez, 1 febbraio 2013). Un fatto questo che dovrebbe preoccupare ogni persona ragionevole.
E dovrebbero preoccuparsi i molti medici obiettori di coscienza, in aumento com’è noto in Italia, che rischiano di finire come aguzzini sul banco degli imputati del tribunale internazionale, al pari dei peggiori criminali che insanguinano il nostro pianeta con violazioni dei diritti umani, genocidi e colpi di stato.
In realtà la vera violenza è l’aborto, non il fatto di volerlo limitare o evitare. Violenza totale sul bambino torturato e ucciso in modo atroce, sul padre messo a tacere dalle leggi abortiste, e sulla donna. Sì, anche sulla donna e va detto: l’aborto ha gravi ripercussioni psicologiche e spesso anche fisiche, sulla persona che ne è coinvolta, come hanno ormai dimostrato diversi studi e testimonianze (vedi tra gli altri Cantelmi T.- Cacace C.-Pittino E. (a cura di), Maternità interrotte. Le conseguenze psichiche dell’IVG, San Paolo Ed., 2011 oppure Perantoni G., Lo strappo nell’anima, San Paolo Ed, 2013). C’è di più: l’aborto aumenta le violenze sulle donne, anziché ridurle.

Lo ha dimostrato anche una recente ricerca del Melisa Institute, in Cile (http://www. melisainstitute.com/), condotta in parallelo da scienziati statunitensi, irlandesi e cileni. Secondo l’evidenza scientifica da questi raccolta, nei Paesi in cui l’aborto è agevolato dalla legge gli atteggiamenti violenti verso la donna sono cresciuti anziché diminuire: sono più presenti abusi sessuali e stupri (“tanto poi ti mandiamo ad abortire”), forme di coercizione psicologica e fisica con cui la donna viene spinta all’aborto, casi di suicidio tra le donne come esito del trauma post aborto (cfr. Melisa Institute, Public Policies to reduce maternal mortalità, a holistic focus on maternal health, 15 marzo 2013).
Che invece siano più favorevoli al benessere delle donne le attività di educazione alla sessualità responsabile, l’accoglimento psicologico e materiale nei confronti delle donne che aspettano un figlio e l’atteggiamento di rispetto per la vita nascente espresso dalle scelte legislative miranti a limitare l’aborto, lo mostrano i dati della stessa ricerca del Melisa Institute, secondo cui i luoghi del pianeta più sicuri per il mondo femminile non sono affatto quelli in cui l’aborto è stato legalizzato ma quelli in cui all’aborto è stato opposto un deciso no. Non è un caso, infatti, se i Paesi in cui la mortalità materna è più bassa sono proprio quelli in cui l’aborto è più limitato: Irlanda e Cile. Come dire: dove non c’è l’aborto, quello è lo spazio più protetto per le madri e per le donne. E naturalmente per i bambini che si salvano.

di Antonello Vanni

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