28/02/2013

Il pasticcio dei vescovi tedeschi

Pillola del giorno dopo, i vescovi spagnoli contro i vescovi tedeschi. Ieri è intervenuto il portavoce e segretario della Conferenza episcopale spagnola, monsignor Juan Antonio Martinez Camino, per spiegare che se è legittimo prevenire la gravidanza di una donna che abbia subito uno stupro, non lo è usare la “pillola del giorno dopo”. Il motivo è quello già spiegato da La Nuova BQ, oltre a un effetto contraccettivo non si possono escludere effetti abortivi: «Noi non conosciamo alcun farmaco» di cui si possa escludere l’effetto abortivo – ha detto Camino – «se esiste e i vescovi tedeschi lo conoscono, ce lo facciano sapere».

Una risposta chiara, che mette in evidenza il pasticcio provocato dalla Conferenza episcopale tedesca in materia. Del resto sono stati proprio i vescovi a parlare di “pillola del giorno dopo”, facendo dunque riferimento a un farmaco ben preciso.

«Moraltheologische Fragen im Zusammenhang von Vergewaltigung („Pille danach“)», in tedesco. vale a dire «Questioni etiche nel contesto dello stupro („Pillola del giorno dopo“)», questo è infatti il titolo del capitolo “incriminato” facente parte del documento diffuso dalla Conferenza Episcopale della Germania per cui i media hanno parlato di un via libera dei vescovi tedeschi all’uso della pillola del giorno dopo in caso di stupro. Si tratta di una direttiva che segue il caso avvenuto nel dicembre scorso di una donna violentata a Colonia che non fu presa in carico da due ospedali cattolici. Per inciso l’apertura dei vescovi tedeschi non sembra immediatamente motivata dallo specifico caso di Colonia dove, secondo i resoconti giornalistici, il medico dell’emergenza che per primo aveva soccorso la donna aveva già provveduto in proprio a prescrivere la pillola del giorno dopo.

Alcuni commenti volti a minimizzare la portata della presa di posizione dell’episcopato germanico lasciano stupefatti. “Pillola del giorno dopo” non è infatti un termine inventato dai giornalisti. Di “pillola del giorno dopo” hanno parlato i presuli tedeschi e con quella espressione, che pure non appartiene al linguaggio scientifico, non si indica qualcosa di indeterminato o futuribile, ma una procedura farmacologica istituita dopo un rapporto sessuale non protetto per evitare la gravidanza.

In Occidente essa è attuabile soltanto in due modi: con dosi elevate di estroprogestinico, di solito secondo uno schema conosciuto come Yuzpe, dal nome del suo ideatore, oppure attraverso la somministrazione in un’unica soluzione di levonorgestrel alla dose di 1,5 milligrammi. Lo schema Yuzpe è caduto in disuso per la sua minore tollerabilità ed efficacia, esso peraltro non si sottrae a problematiche circa il meccanismo d’azione (Kahlenborn, et al. 2002). Quindi si è in presenza di una direttiva rivolta al personale sanitario che opera nelle strutture cattoliche per consentire, in caso di stupro, la prescrizione del levonorgestrel, una volta accertato che tale farmaco non possa indurre un aborto, inteso come qualsiasi atto volto ad interrompere lo sviluppo vitale dell’embrione eventualmente formato.

Chi scrive ha imparato dal fondatore del centro di bioetica dell’Università Cattolica, S.E. mons. Elio Sgreccia, che il ragionamento bioetico, prima di articolarsi nella valutazione antropologica e concludersi nel giudizio etico, deve partire esaminando il dato scientifico. Qualcuno che non aveva titoli per farlo ha dichiarato che la pillola del giorno dopo non è un abortivo, ma si tratta di un’affermazione che, oltre a possedere un potenziale diseducativo non trascurabile, è da ritenersi scientificamente superficiale, indimostrata, e supina alla lettura dei risultati fornita dalla lobby dei diritti riproduttivi.

Cercherò di fare due esempi emblematici. Il gruppo di ricerca del Karolinska Institutet guidato dalla ginecologa Kristina Gemzell Danielsson ha valutato in vitro la capacità di adesione di embrioni umani a un tessuto endometriale tridimensionale in presenza di placebo o di levonorgestrel nel mezzo di coltura. Con il placebo hanno aderito al tessuto endometriale 10 embrioni su 17 mentre in presenza di levonorgestrel l’adesione è avvenuta da parte di 6 embrioni su 14. Poiché la differenza non è risultata statisticamente significativa i ricercatori hanno concluso che il levonorgestrel non è in grado di ostacolare l’adesione degli embrioni e quindi di esplicare effetti anti-nidatori (eticamente abortivi). Come notato però dai ginecologi Mozzanega e Cosmi questo modello non riproduce la realtà, dove il levonorgestrel viene somministrato con significato clinico in fase peri-ovulatoria. Inoltre il nostro gruppo di lavoro ha evidenziato come la differenza rilevata dagli autori nel tasso di adesione sia del 16% e possa risultare statisticamente non significativa a causa della insufficienza numerica del campione (Puccetti et. al. 2012).

Per rilevare una differenza statisticamente significativa pari al 16% abbiamo calcolato che sarebbero servite almeno 333 osservazioni, una cifra 10 volte maggiore rispetto a  quella effettuata dagli autori che pertanto traggono conclusioni da risultati che non le consentono. Un altro caso è quello del gruppo peruviano del dottor Horacio Croxatto, fondatore dell’Istituto Cileno di Medicina Riproduttiva. In uno dei lavori più recenti sono stati valutati gli effetti del levonorgestrel post-coitale somministrato a 103 donne prima dell’ovulazione e ad altre 45 che avevano già ovulato. Nel primo gruppo gli autori non hanno registrato alcuna gravidanza rispetto alle 16 previste, mentre nel secondo caso le gravidanze osservate sono state 8 rispetto alle 8,7 attese, una differenza non significativa che ancora una volta ha portato a sostenere che il levonorgestrel, se somministrato dopo l’ovulazione, non avendo alcuna efficacia non può agire come abortivo.

Anche in questo caso però vi sono una serie di elementi che contraddicono conclusioni così rassicuranti. È stata notata ancora una volta l’inadeguatezza numerica del campione per escludere effetti anti-nidatori a bassa incidenza (Lopez-del Burgo, et al. 2011). Ancora il nostro gruppo di lavoro ha segnalato una grave incongruenza nella modalità di rilevazione della gravidanza che ha portato a sottostimare le gravidanze cliniche attese. Invece di effettuare nella popolazione trattata il test di gravidanza a 6 settimane rispetto al giorno della mestruazione precedente come nella popolazione di riferimento, gli autori hanno effettuato la rilevazione nel giorno in cui le mestruazioni sarebbero dovute presentarsi, cioè circa due settimane prima. Dominic Pedulla ha poi evidenziato la fragilità argomentativa degli autori nello spiegare come nessuna gravidanza si sia verificata tra le 103 donne trattate prima dell’ovulazione nonostante tra queste l’ovulazione si sia comunque verificata in ben l’80% dei casi. Questi elementi sono solo un piccolo assaggio di come la lettura erronea del dato scientifico possa indurre a giudizi morali fallaci. Soltanto una conoscenza vasta ed approfondita della materia può rendere accorti di errori scientifici sottili, ma gravi. Allo stato non è possibile somministrare la pillola del giorno dopo senza accettare il rischio di indurre un aborto.

Da qui nasce la preoccupazione per una questione che ci pare assai rilevante: chi sono stati i consiglieri scientifici dei vescovi tedeschi? Si sono forse affidati al parere della Berufsverbandes der Frauenärzte, l’Associazione dei Ginecologi Tedeschi e della Deutschen Gesellschaft für Gynäkologische Endokrinologie und Fortpflanzungsmedizin, la Società Tedesca di Endocrinologia Ginecologica e Medicina della Riproduzione? Possono dire di avere interpellato la Pontificia Accademia per la Vita, istituita proprio per fornire questo genere di informazioni? I vescovi tedeschi possono affermare di avere ottenuto da questo organismo pontificio l’esclusione di effetti abortivi? In ogni caso oppure solo in caso di somministrazione prima dell’ovulazione?

In assenza di totali rassicurazioni da chi non ha possibili conflitti d’interesse, consentire che la pillola del giorno dopo sia somministrabile negli ospedali cattolici non significa forse adottare il principio di probabilità al posto del principio di precauzione? E se così è, come sarà possibile non ammettere in casi simili anche l’uso della spirale al rame, dato che questa può sì indurre un aborto con meccanismo antinidatorio, ma può anche agire semplicemente con azione spermiotossica? Sono domande che sembrano degne di risposta, anche perché il dr. Leo Alexander nel 1948 insegnava a stare attenti ai piccoli mutamenti, “From small beginnings”, diceva dalle pagine del New England Journal of Medicine, da piccoli cedimenti iniziali sulla indisponibilità della vita umana innocente si giunge, a piccoli passi, a disastri inenarrabili.

di Renzo Puccetti

Blu Dental

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