21/06/2019

Indagine rivela che 1 giovane su 40 si sentirebbe transgender. Natura o cultura?

Un dato che fa riflettere e non poco: su oltre 5 mila giovani interpellati, più di cento si definiscono “;transgender”. Ciò è emerso da un’indagine su giovani veneti, pugliesi e campani elaborata dalla Fondazione Foresta Onlus, in seguito ai risultati rilevati da questionari anonimi somministrati a 5.300 giovani delle scuole superiori, di età compresa tra i 18 e i 21 anni e residenti tra Veneto, Puglia e Campania, ai quali è stato chiesto come definirebbero la loro identità di genere: il 2,3%  ha risposto “;trans o gender-fluid” (uno ogni 40).

Il risultato potrebbe, tuttavia, anche essere legato alla specifica fascia di età presa in considerazione. In Italia, comunque, secondo recenti dati del Centro di Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità, ad oggi le persone transgender sono circa 400 mila. Un dato che stupisce ma solo fino ad un certo punto, se si pensa che l’avanzata del genere neutro e dell’annullamento della frontiera tra i due sessi prosegue a pieno ritmo in ogni settore: dal mondo della cultura a quello dello spettacolo, fino al delicatissimo campo dell’istruzione. Un vero e proprio martellamento mediatico e non, di messaggi che inneggiano alla fluidità sessuale, come se fosse l’ultima frontiera della libertà e non invece l’ultima triste fase di un processo di destrutturazione dell’umano che rischia di portare l’individuo direttamente verso l’autodissoluzione.

In questo clima, risulta “normale” che, per esempio, nel Regno Unito, dove, guarda caso, i corsi gender nelle scuole sono ormai una realtà conclamata, si sia registrato un aumento vertiginoso, negli ultimi 10 anni, di bambini trans o, meglio, che si sentono trans. Tanto che un  accorato appello è stato lanciato dal collegio americano dei pediatri (ACPeds) a tutti i medici di questa categoria, per invitarli alla cautela nell’applicare le recenti raccomandazioni dell’Accademia Americana dei Pediatri (Aap). Quest’ultima avrebbe esortato a supportare e a considerare “normale” la scelta di qualunque identità di genere “altra” rispetto al proprio sesso biologico, nei bambini.

Invece L’ACPeds ha chiarito, senza possibilità di fraintendimenti, che nessuno nasce con un “gender” avulso dal proprio corpo, perché la coscienza di sé come maschio o femmina è innata e tende a svilupparsi nel corso del tempo, ma potrebbe anche essere sviata da determinate influenze “culturali” e dalle impressioni soggettive del bambino: «La sessualità umana è un tratto binario oggettivo e biologico: “XY” o “XX” sono indicatori genetici di salute – non indicatori genetici di malattia. La norma ha come evidente scopo la riproduzione e la prosecuzione della specie. Esistono disordini eccezionalmente rari di differenziazione sessuale, ma questi non vanno affatto considerati come se fossero un “terzo sesso”».

Un discorso che ovviamente vale per ogni fascia di età, tanto più per i bambini e gli adolescenti che attraversano una fase importante del loro percorso di crescita, trattandosi di personalità ancora in formazione. Ma diventa sempre più manifesto, giorno dopo giorno, che questa costante e inarrestabile operazione mediatica, all’insegna della fluidità di genere, mira semplicemente all’omologazione dell’individuo, annullando persino i suoi basilari riferimenti alla sessualità biologica, perché distruggendone, a picconate, l’identità, si possa finalmente arrivare a creare il sogno dell’essere ibrido, infinitamente manipolabile e puramente funzionale al rito del consumo e alle leggi del mercato.

Manuela Antonacci

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