25/08/2018

Infanticidio di Stato in UK: dopo Alfie è toccato a Melody

La Gran Bretagna si sta rivelando in maniera sempre più cruda la culla dell’infanticidio di Stato. Le strutture pubbliche, singolarmente o in sinergia, attuano una “politica” mortifera senza pagarne le conseguenze, a prescindere dal Liverpool Care Pathway for the Dying Patient (LCP) ed eventuali altre leggi mortifere in vigore.

Quando il personale ospedaliero decreta la condanna a morte di un bambino, la “giustizia” si adegua “nel miglior interesse” del poveretto. Dopo i casi di Charlie, Isaiah, Alfie, è la volta di Melody: più che uccisa, a dire il vero, l’hanno torturata...

Apprendiamo la notizia da Benedetta Frigerio su la Nuova Bussola Quotidiana (da cui abbiamo preso anche la foto in evidenza).

Melody Driscoll, 11 anni, è morta il 3 luglio 2018 dopo un’agonia durata mesi. Alla piccola fu diagnosticata, quando non aveva ancora 2 anni, la sindrome di Rett, malattia neurologica inguaribile (ma curabile), che le avrebbe impedito di parlare e camminare. Ben presto perse la capacità di sedersi e di pronunciare quella manciata di parole che aveva imparato. All’inizio del 2018 i genitori Karina e Nigel hanno lanciato una battaglia legale contro il King’s College Hospital di Londra, ingaggiando Charles Da Silva, l’avvocato che ha agito per i genitori del piccolo Charlie Gard, e iniziando una campagna di raccolta fondi (50.000 sterline) per sostenere le spese giudiziarie. Il motivo? Evitare di non perdere la custodia della bambina a causa dei servizi sociali che li giudicavano non idonei a prendersi cura di lei. Una delle ragioni che influirono su questa decisione fu la testimonianza dei medici secondo i quali Karina e Nigel erano genitori “problematici” che avrebbero potuto procurare un “danno significativo” alla bambina.

Tutto questo perché l’ospedale aveva preso la decisione di interromperle la somministrazione di morfina e steroidi in quanto avrebbero potuto provocare danni letali al fegato. I genitori assistevano impotenti mentre Melody passava ore a piangere in agonia perché i medici sostituivano la morfina con il paracetamolo (come passare da un bazooka a una pistola ad acqua). La coppia temeva che lo shock da sospensione del farmaco potesse scatenare un arresto cardiaco, e così è stato: Melody è morta di dolore.  Karina ha dichiarato a The Mirror: «La nostra coraggiosa bambina, per la quale abbiamo combattuto per oltre 11 anni, potrebbe finire per morire in disperato dolore, circondata da estranei invece che dalla sua famiglia. […] So che queste droghe potrebbero far morire Melody prima, ma è già malata terminale, quindi la perderemo – lo sappiamo. […] Preferirei avere un altro anno con Melody, in cui non soffrisse, che cinque anni a guardarla in questo modo. Come possiamo essere chiamati genitori inadatti per lottare per questo?». Come se non bastasse, i genitori si sentirono dire dai medici che Melody non era in agonia, ma semplicemente “si comportava male”.

Ce n’è abbastanza, in questa storia, da considerarla surreale. In casi del genere, nessuno vuole difendere a spada tratta la posizione dei genitori a prescindere dal quadro clinico dei figli, come se, per il solo fatto di amarli più di ogni altro, fossero anche capaci di sostituirsi agli specialisti nelle decisioni tecniche. Può accadere che mamma e papà, proprio perché “accecati” dall’amore, non siano in grado di vedere come stanno le cose. Ma non è questo il caso, come non lo era per i genitori di Charlie, Alfie e Isaiah. Nella sua dichiarazione, la mamma di Melody ha espresso un principio bioetico sacrosanto: quello dell’azione a doppio effetto. Si può ricorrere a una terapia (effetto buono) che abbia come conseguenza di abbreviare la vita del paziente (effetto cattivo), purché l’anticipazione della morte non sia ricercata, ma tollerata come conseguenza inevitabile; il mezzo usato per perseguire il fine terapeutico sia moralmente lecito; vi sia proporzione tra i due effetti in assenza di alternative valide. In questo caso la proporzione era evidente a chiunque: non si può lasciare una bambina in preda all’agonia con la scusa che i sedativi la porteranno a morte prematura, perché in tal caso la poverina morirà comunque di dolore. E, stando alle testimonianze, così è avvenuto.

Vincenzo Gubitosi

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