03/07/2017

«Io sono Charlie!». Uno scritto che parla di amore e speranza

«Io sono Charlie!»

Affetto da una rarissima patologia classificata come incurabile, la sindrome da deperimento mitocondriale, il piccolo Charlie Gard riposa nella sua culla al Great Ormond Street Hospital di Londra.

Potrebbe sembrare un bimbo come tanti, se non fosse per i macchinari che lo tengono in vita mimetizzati fra gli orsacchiotti di peluche. Tutti quei tubicini servono, infatti, ad idratarlo e ad alimentarlo. Senza non potrebbe farcela.

Ma i medici dicono che non ci sono speranze, che Charlie non potrà guarire, che è tutto inutile.

Egli non sa che è stato al centro di una battaglia legale nei vari gradi d’appello, né che anche la Corte Europea dei Diritti Umani si è pronunciata perché quei tubicini gli vengano staccati dal nasino.

Non sa Charlie, ma forse sente, che i suoi genitori sono contrari. Hanno fatto di tutto perché ciò non avvenga, ma medici e tribunali hanno detto no. Hanno detto no al suo trasferimento in America per una terapia sperimentale e poi al suo ricovero in un centro di assistenza per malati terminali. Infine, hanno detto no al suo ritorno a casa, come pure avevano chiesto mamma e papà.

Il suo verrebbe ad essere, quindi, un caso di eutanasia di Stato, perché sarebbe lo Stato attraverso la magistratura a decidere, avverso la volontà dei genitori, se debba continuare a vivere o morire (lo ha scritto Magdi Cristiano Allam su Il Giornale del 2 luglio).

Si attende, da un momento all’altro, che si dia corso alla sospensione del “trattamento” di idratazione e alimentazione, essendo stati scrupolosamente osservati i protocolli medici.

Ma Charlie ha fame, una fame che non si sazia di comunicati o di arbitrati. E ha sete, una sete che aspetta di essere lenita dall’acqua sorgiva della vita, pur nelle sue forme artificiali del trattamento idratativo. Le nostre «mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto» – ha scritto il grande filosofo Edmund Husserl –, ma Charlie non è un fatto e non è nemmeno riconosciuto come un uomo. Perché un uomo avrebbe diritto a scegliere, lui no.

Charlie è nudo, nel senso scandaloso di una totale dipendenza, di un essere del tutto inerme, che è tanto più disarmante in un tempo in cui ognuno si vanta delle proprie possibilità e coltiva una gelosa indipendenza.

Charlie è un piccolo carcerato. Il suo carcere ha delle sbarre che sono i limiti del nostro mondo chiuso all’amore. Sconta, quindi, una pena di cui è innocente. La sconta per quanti non sanno vedere e non sanno dare, in un’era in cui la profezia sembra perduta.

La sua malattia è, infatti, incurabile non tanto o non solo perché non si conosce la medicina che potrebbe curarla, quanto perché si dispera dal trovarla. E non esiste cura per chi ha perso la speranza.

Il silenzio presto calerà sulla sua breve vita, ma sarà un silenzio più eloquente delle parole, che si impone dove il linguaggio fa difetto.

In esso ci sarà tutta la sua e la nostra impotenza, unita però alla speranza che è mancata e all’amore che non è bastato.

Clemente Sparaco


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