16/08/2018

La battaglia per la libertà si combatte in farmacia

Bruno Pichon, farmacista di Bordeaux, il 23 aprile 2015 ha ricevuto una richiesta per la vendita dello IUD (dispositivo intrauterino), più noto come spirale che, nei casi in cui fallisce nella funzione contraccettiva può funzionare anche come abortivo. Per tale ragione, a fronte del possibile effetto antinidatorio, Pichon non riforniva la sua farmacia di questo strumento, esercitando di fatto quell’obiezione di coscienza che, di diritto, lo Stato francese (come quello italiano) non riconosce ai farmacisti. È impressionante la gravità di questa situazione, se non altro per la macroscopica disparità di trattamento all’interno della medesima categoria degli operatori sanitari (rispetto a medici e infermieri) e in relazione al medesimo oggetto: l’aborto.

Informato dell’accaduto, il Consiglio regionale del Collegio dei farmacisti, l’11 febbraio 2016, ha pronunciato contro Pichon la sanzione del divieto di praticare la professione per una settimana. Avverso tale provvedimento il farmacista ha proposto un appello che però è stato respinto il 24 luglio del 2017. È allora giunto dinanzi alla Corte di Cassazione ma senza risultato, poiché il ricorso è stato giudicato irricevibile. Così, tra calvario giudiziario e gogna mediatica, a 63 anni Bruno Pichon ha deciso di terminare definitivamente la professione, vendendo la farmacia con cinque anni di anticipo rispetto al termine che aveva prestabilito.

Attualmente si sta occupando del caso l’European Centre for Law and Justice, che ha presentato ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale si è già pronunciata in più di un’occasione sul tema dell’obiezione di coscienza. «Gli Stati sono obbligati – ha dichiarato la CEDU – a organizzare il loro sistema di assistenza sanitaria in modo tale da garantire che l’esercizio effettivo della libertà di coscienza degli operatori sanitari nel contesto delle loro funzioni, non impedisca ai pazienti di accedere ai servizi ai quali hanno diritto in base alla legislazione applicabile» (CEDU, 26 maggio 2011, n. 27617/08, R.R. contro Polonia). Alla luce di questo orientamento giurisprudenziale, il caso del sig. Pichon sembrerebbe destinato a risolversi positivamente, sia pure solo sul piano astratto dei princìpi, essendo la sua vita professionale ormai terminata. Almeno, la sua vicenda personale potrà essere utile a rafforzare la posizione di quanti si troveranno in futuro nelle sue stesse condizioni (e sembrano non essere pochi, stando all’indagine effettuata nel 2016 dallo stesso Ordre National des Pharmaciens, secondo cui l’85% dei farmacisti si augura di poter beneficiare di una “clausola di salvaguardia”).

Tuttavia il conflitto tra obiettori e libertari permane, e prima o poi esploderà in tutta la sua virulenza imponendo il gravissimo onere di una scelta di campo di fronte a una nuova deriva totalitaria. Il motivo è semplice: ad oggi gli ordinamenti giuridici riconoscono solo apparentemente il “diritto” all’obiezione di coscienza, ma in realtà si tratta di mera tolleranza verso una condotta che da molti è giudicata eversiva. La stessa CEDU, in pratica, impone agli Stati di assicurare il diritto alla libertà di coscienza a condizione che sia altrettanto garantito il “diritto” all’aborto. Cosa accadrà qualora il numero degli obiettori dovesse salire fino a rendere materialmente impossibile questo bilanciamento di interessi contrapposti?

Ancora una volta siamo chiamati a riflettere sull’irragionevole precarietà originata dal positivismo giuridico che fonda, di relazione in relazione, tutta la società sull’abnorme principio del compromesso. Quando verranno meno i presupposti materiali per la sua applicazione, mancando la luminosa guida del diritto naturale, si aprirà inevitabilmente una crisi sociale.

Vincenzo Gubitosi

Fonte:
European Centre for Law and Justice

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