27/04/2018

La biopolitica rende Alfie e ogni uomo oggetto d’uso dello Stato

In un suo comunicato stampa sulla vicenda di Alfie Evans, Olimpia Tarzia ha giustamente invitato a riflettere sulla deriva antropologica innescata dalla biopolitica.

La  responsabile nazionale del Dipartimento Famiglia di Forza Italia si chiede perché, nonostante “i ripetuti appelli dei genitori, del Papa, la cittadinanza italiana concessa al piccolo, la scesa in campo di uno tra i più prestigiosi ospedali pediatrici al mondo quale il Bambino Gesù, la mobilitazione internazionale di associazioni, movimenti, mamme, papà, alte personalità, persone semplicinon si sia ottenuta la manifestazione di “umanità, di apertura del   cuore e della mente” da parte delle autorità inglesi.

La  domanda si fa ancora più pressante e la risposta rischia di rivelarsi angosciosa. Dinanzi a questa vicenda, infatti, come fu per il piccolo Charlie, non ci si può non interrogare, la politica per prima, sulle motivazioni che stanno alla base di una sentenza di morte emessa nei confronti di un piccolo bambino gravemente malato. Non si può evocare il rischio di accanimento terapeutico: Alfie non è un malato terminale, non era in fin di vita, finché non gli avevano tolto la ventilazione assistita. Fanno rabbrividire le risposte che si palesano dinanzi alla decisione di staccargli la spina – continua Tarzia – la prima è di natura utilitaristica: la sua vita costa troppo al sistema sanitario, secondo la logica che il risparmio per le casse dello stato vale più della vita umana.

Ma c’è un’altra risposta, forse più inquietante perché si basa su una ben precisa visione antropologica ed è quella legata all’avanzare della biopolitica, in base alla quale la vita, la biologia, l’umano non sono un presupposto, ma un prodotto della prassi, con la pretesa di gestire la vita, autorizzandone l’esistenza e dandone legittimazione sociale.

Nella realtà biopolitica in Olanda il 31% dei pediatri sopprime i neonati malformati, anche senza acquisire il consenso dei genitori; in Svizzera, nel febbraio 2011, la Corte Suprema ha stabilito che il malato mentale ha un diritto costituzionale ad essere soppresso.

La logica biopolitica, se non verrà arrestata, estenderà la sua influenza, trascinando inevitabilmente con sé ulteriori future decisioni sulla vita delle persone più fragili: anziani non autosufficienti, malati psichici, disabili gravi, tutti coloro, insomma, a cui non viene riconosciuta una ‘qualità di vita’ sufficiente per vivere. Ma chi lo decide? Ed in base a quali parametri? Chi fissa i paletti? E’ un vento gelido che va man  mano espandendosi nel mondo occidentale e particolarmente in Europa – conclude Tarzia – ma a cui l’Italia, con la sua storia, col suo patrimonio di umanità e di tutela dei diritti fondamentali, quale quello alla vita, può e deve opporsi con tutte le forze, facendo sentire la sua voce in difesa dei più deboli e dei più fragili, condannando con forza l’avanzare della cultura dello scarto.”

Redazione

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