18/10/2013

La Francia anti nozze gay non si piega alla laïcité e rilancia

La Manif pour tous, che combatte contro la legge sulle nozze gay e contro la laïcité giacobina imposta nelle scuole d’oltralpe,ha  invitato i francesi a indossare, sabato 12 ottobre, la felpa con l’immagine stilizzata di una famiglia composta da madre, padre e bambini.

E’ una delle iniziative che animano un paese per nulla rassegnato alla versione della “laïcité” imposta dal presidente Hollande e del suo esecutivo (entrambi in calo senza precedenti di popolarità, mentre il Fn di Marine Le Pen, secondo un sondaggio del Nouvel Observateur, sarebbe ormai il primo partito). Continuano le letture pubbliche sulla libertà dei Veilleurs, i veglianti, spesso dispersi dalla polizia, mentre il 18 ottobre il Consiglio costituzionale dovrà decidere se ammettere o meno la clausola di coscienza per i sindaci e i loro aggiunti che chiedono di non essere costretti a celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso (per coloro che si rifiutano, sono previsti fino a cinque anni di detenzione).

A chiedere la possibilità dell’obiezione sono più di ventimila eletti nelle amministrazioni locali, cifra che dà la misura di una tranquilla ma vera rivolta. Così come ormai capita da più di un anno ai suoi ministri in visita ufficiale nel paese, anche al presidente francese François Hollande, martedì scorso, è toccato giocare a nascondino a Saint-Etienne, nella Loira, per non trovarsi faccia a faccia con i manifestanti contro la legge Taubira (che in aprile ha introdotto il matrimonio omosessuale in Francia) e contro la laicità alla giacobina imposta alle scuole dal ministro dell’Istruzione, Vincent Peillon, promotore zelante e potente di una “religione dello stato” destinata ad azzerare le altre.

La notte precedente, a Parigi, trecento Veilleurs (i veglianti, appartenenti alla Manif pour tous contro le nozze gay che si riuniscono da mesi nelle piazze per meditare su temi come “legge e coscienza” e leggere a voce alta testi filosofici) sono stati dispersi dalla polizia nella piazza del Palais Royal. Non lontano, cioè, dalla sede del Consiglio costituzionale che il 18 ottobre delibererà sulla possibilità o meno di introdurre la clausola di coscienza per i sindaci e i loro aggiunti che si rifiutino di celebrare le nozze tra persone dello stesso sesso. Quella di martedì notte non è la prima volta e non sarà nemmeno l’ultima, che i Veilleurs sono dispersi con la forza, nonostante l’assoluta tranquillità e l’evidente non violenza delle loro iniziative.

La Francia della liberté sembra assai in sofferenza, e probabilmente anche questo aspetto collabora al misero trenta per cento di consensi (il punto più basso di popolarità dall’inizio del mandato, uno dei più bassi di tutti i tempi per un presidente della République) che grava su Hollande e sul suo primo ministro, Ayrault (sondaggi di due giorni fa).

La Francia è diventata il paese dove un uomo a passeggio con la famiglia il lunedì di Pasqua, a Parigi, nel giardino del Luxembourg – il Foglio ne ha scritto il 10 aprile scorso – può essere fermato dai sorveglianti e invitato a togliersi o almeno a coprire, perché “contraria al buon costume”, la felpa della Manif pour tous: nera, niente scritte, solo il disegnino rosa stilizzato di una famiglia composta da un uomo, una donna e due bambini. Un’oltraggiosa famiglia da Mulino Bianco, la chiamerebbero gli eterofobi militanti da questo lato delle Alpi.

Così, mentre le autorità governative sono puntualmente costrette dai manifestanti anti legge Taubira al “cache cache pour tous” (nascondino per tutti), ogni volta che si affacciano su una piazza o visitano un municipio, la Manif pour tous invita i francesi a sfidare la nuova intolleranza travestita da egualitarismo e, sabato 12 ottobre, a indossare magliette e felpe con l’immagine della famiglia mamma-papà-bambini (è la seconda “journée nationale du port du sweat Lmpt”, dopo quella dell’8 giugno scorso).

Per l’11 ottobre, anche i comitati spontanei della Manif pour tous Italia hanno organizzato un’uscita pubblica contro la legge sull’omofobia in discussione al Parlamento italiano, “per difendere la libertà d’espressione” e per esprimere dissenso “contro il disegno di legge Scalfarotto, un provvedimento ideologico che, se approvato dal Senato, non farebbe altro che impedire ai liberi cittadini e alle associazioni di esprimersi in modo civile su proposte di legge come il matrimonio tra persone dello stesso sesso”.

Nel frattempo, quello che sta accadendo in Francia dimostra che qualcuno ha fatto male i conti. L’illusione che il leggendario attaccamento allo stato da parte dei suoi funzionari mettesse d’incanto a tacere metà del paese ostile alla legge Taubira trova parecchie smentite. E le trova nonostante il “rompete le righe” dell’episcopato francese, più rassegnato di quanto non appaiano la gente comune e, come si è detto, i sindaci. Sono 20.140, tra titolari e aggiunti, a chiedere di non essere costretti a celebrare matrimoni fra persone dello stesso sesso (per chi oggi si rifiuta, sono previste sanzioni penali fino a cinque anni di detenzione).

L’avvocato Geoffroy de Vries, che difende le ragioni del Collettivo dei sindaci per l’infanzia, ha spiegato al sito atlantico.fr che “si tratta di beneficiare del diritto a opporre la propria libertà di coscienza… per i sindaci del Collettivo, l’ipotesi del matrimonio tra due persone dello stesso sesso urta profondamente la loro coscienza personale perché tocca il campo delle convinzioni profonde sulla vita, la coppia e la famiglia”. I sindaci chiedono di non essere nemmeno costretti a nominare un loro delegato, ma che sia direttamente un rappresentante dello stato a procedere alle nozze. Si decide il 18. E dietro le motivazioni di diritto non sarà difficile capire a che punto è la notte politica, nella Francia sempre meno abitata dalla liberté.

di Nicoletta Tiliacos

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