29/01/2018

La vita dei malati psichiatrici non vale più niente?

A proposito di eutanasia e autodeterminazione del paziente, il Washington Post ha pubblicato un eccellente articolo il 24 gennaio 2018 di Charles Lane, in cui l’editorialista si chiede: “In quanti casi dubbi si toglie la vita con l’eutanasia a malati di mente e persone con problemi cognitivi non consenzienti?” 

L’articolo fa eco alle denunce sempre più allarmate fatte anche da eutanasisti convinti (per es questa, o questa)

Nel suo articolo, Lane esamina diversi casi documentati di eutanasia di persone incapaci o mentalmente malate che lasciano molti dubbi circa la famosa “autodeterminazione” .

Il primo caso è la storia scioccante di una donna con demenza nei Paesi Bassi che aveva presentato una direttiva anticipata di trattamento (DAT , biotestamento) che richiedeva l’eutanasia in caso di demenza. Ma la direttiva era ambiguamente formulata e la donna non era più in grado di chiarire i suoi desideri quando è stata ospitata in una casa di cura – sebbene suo marito chiedesse l’eutanasia.

Nonostante la mancanza di una chiara espressione della paziente, un medico ha concluso che la sua sofferenza era insopportabile e incurabile e quindi la sua vita  non degna d’essere vissuta – sebbene non vi fosse alcuna malattia fisica terminale – e ha preparato un’iniezione letale.

Per garantire l’arrendevolezza della paziente, il medico le diede un caffè con un sedativo e, poiché la donna cercava ancora di sfuggire all’ago, chiese ai familiari di tenerla ferma. Dopo 15 minuti trascorsi col medico che cercava di trovare una vena, l’infusione letale toglieva la vita all’anziana signora.

Né volontaria, né indolore, né dignitosa, questa morte assistita (procurata!) dal medico è stata segnalata all’autorità di vigilanza sull’eutanasia senza alcuna conseguenza.

Lane poi spiga il caso di Aurelia Brouwers , una donna di 29 anni fisicamente sana cui è stata tolta la vita il 26 gennaio nei Paesi Bassi. Aurelia è depressa. Non sopportava la vita e teneva un comportamento autolesionista. Era stata rilasciata dal carcere nel dicembre 2016 dopo aver scontato 2 anni e mezzo per incendio doloso. Non ha ricevuto alcuna terapia mentre era in carcere e, 12 mesi dopo, ha convinto i medici che la sua sofferenza psicologica era insopportabile e intrattabile.

«E ‘stata una strada lunga e difficile prima che finalmente ottenesse il permesso», ha osservato la RTL Nieuws. «Ed è per questo che Sarah vuole attenzione per la sua storia. Non per sé, ma per gli altri che come lei trovano la vita psicologicamente troppo pesante, non hanno possibilità di guarire, e vogliono morire in modo dignitoso ». [L’ennesimo caso pietoso, tipo DJ Fabo: ma vedete come si sposta l’asticella sempre più in là? fabo era gravemente handicappato, Aurelia era in perfetta salute fisica..., ndR]

Lane sulla vita rubata ai pazienti psichiatrici in Belgio.

Joris Vandenberghe, psichiatra dell’Università di Lovanio, chiede controlli più severi. Si è lamentato l’anno scorso che i pazienti psichiatrici sono morti per mano di medici che non hanno rispettato i criteri stabiliti dalla legge belga: «Sono convinto che in Belgio le persone siano state uccise anche se c’erano ancora le opzioni di trattamento e anche se c’era ancora la possibilità di anni e anche di decenni di vita.»

La vita dei malati ha perso molto valore: i Fratelli della Carità, un’organizzazione cattolica che gestisce il più grande gruppo di ospedali psichiatrici in Belgio, hanno deciso di accettare le richieste di eutanasia, nonostante la contrarietà del padre superiore e del Vaticano: la decisione è stata presa dopo che un tribunale belga ha condannato una clinica cattolica a pagare i danni alla famiglia di una donna malata terminale di 74 anni perché l’hanno mandata in altra struttura per l’eutanasia.

Lane conclude il suo articolo affermando che la World Psychiatric Association glissa e non si esprime sul problema dell’eutanasia per ragioni psichiatriche.

Alex Schadenberg

Fonte: Euthanasia Prevention Coalition

 


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