28/01/2019

L’America sta tornando pro life

Sorpresa: l’America è sempre più pro life e più convinta che l’aborto, ben lungi dall’essere ritenuto un diritto, sia in realtà una pratica malvagia da limitare il più possibile. È il sorprendente esito di una rilevazione a cura del Marist Poll effettuata sondando un campione di poco più di 1.066 adulti, interpellati tra l’8 e il 10 gennaio di quest’anno. Numerosi, a ben vedere, sono gli aspetti emersi da questa ricerca che meritano attenzione e che rincuorano i difensori della vita nascente. Tanto per cominciare, il fatto che la larga maggioranza degli interpellati consideri il bambino non ancora nato una vita unica e irripetibile (56%), anziché una parte del corpo della donna (35%).

Allo stesso modo, la maggior parte del campione (42%) ritiene che la vita umana inizi dal concepimento, rispetto a quando il bambino può vivere autonomamente (19%) o dopo i tre mesi dalla fecondazione (10%). Che la vita inizi dal concepimento è ovviamente più chiaro ai pro life (70%) che ai pro choice (23%), ma il dato generale – come poc’anzi detto – appare decisamente confortante. Ma a colpire, su tutti, è un altro aspetto rilevato con questa ricerca, e cioè il fatto che oggi il 75% degli americani sia favorevole a limitazioni «sostanziali» dell’accesso all’aborto, in modo che, diversamente da quanto oggi avviene negli Usa, possa essere effettuato solamente nei primi tre mesi dal concepimento, e non oltre.

Una percentuale, quella che appoggia l’idea di restrizioni all’aborto, che balza al 92% nel momento in cui si considera l’elettorato repubblicano ma che, curiosamente, rimane consistente (61%) anche fra coloro che si dichiarano pro choice e quindi, in sostanza, abortisti. Col risultato finale che oggi, negli Stati Uniti, i difensori della vita nascente sono la maggioranza e ammontano al 55% del totale, contro i 38% degli abortisti. Questo, a lato pratico, che cosa significa? E soprattutto, quali implicazioni hanno o possono avere nel medio termine questi e altri dati della rilevazione che lo spazio impedisce qui di sviscerare, ma che vanno nella medesima direzione di quelli sin qui riportati?

In estrema sintesi, possiamo dire che quadro tracciato dal Marist Poll mette in risalto tre cose. La prima è quella già evidenziata in apertura, e cioè il fatto che negli Stati Uniti il vento pro life non solo soffia, ma soffia più forte che mai. Il che è frutto di tutta una serie di concause, che vanno dai numerosi film antiabortisti usciti, con successo, in questi anni, fino all’operato decisamente virtuoso, in tal senso, dell’amministrazione Trump. Una seconda implicazione è di carattere politico e giudiziario e concerne la possibilità che con questo scenario, e con la maggioranza di giudici antiabortisti alla Corte Suprema Usa, la storica sentenza Roe vs Wade, che il 22 gennaio del 1973 aprì le porte all’aborto, possa effettivamente essere se non ribaltata del tutto quanto meno superata da un altro pronunciamento.

La terza e ultima considerazione, infine, è più generale e non riguarda solo gli Stati Uniti e, a ben vedere, neppure solo l’aborto e si sostanzia in un fatto positivo per tutti i difensori della vita nascente e della famiglia: la possibilità che la cultura possa cambiare, riscoprendo i principi di sempre, vale a dire i valori non negoziabili. Diversamente da quanto da decenni sentiamo ripetere, infatti, appare sempre più chiaro – e il sondaggio poc’anzi illustrato è solo l’ennesima conferma – la falsità del ritornello progressista secondo cui, da certi “diritti”, «indietro non si torna». Per un motivo semplice: la storia può cambiare direzione. Nulla, insomma, è già scritto. E la grande battaglia per la vita può essere ancora vinta. Anzi, probabilmente la vittoria è più vicina di quanto si possa immaginare.

Giuliano Guzzo

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