25/07/2017

Le parole della mamma di Charlie e quelle del giudice Francis

La dichiarazione della mamma di Charlie al giudice Francis contiene alcuni punti che vanno evidenziati. Altresì riteniamo di dover “rispondere” a quanto asserito pubblicamente dal giudice Francis, che ci ha chiamato direttamente in causa.

Le parole della mamma di Charlie, pronunciate quando ha rinunciato all’azione legale

Charlie non è morto cerebralmente

Solo per essere chiari, dice Connie, Charlie non è “morto cerebralmente”. La mamma ha detto che il bambino “risponde”, anche adesso. Quindi, rebus sic stantibus, probabilmente sottoporre il bambino alla cura sperimentale ora – forse – potrebbe essere accanimento terapeutico, quindi ormai è tardi e non se ne fa nulla.  Ma  se viene staccato il respiratore, e al piccolo Charlie non è stata diagnosticata la morte cerebrale, il bambino è vivo e gli viene negato il diritto a una morte naturale. Viene praticata l’eutanasia.

Il cervello di Charlie può ancora migliorare, i muscoli no

Il professor Hirano e il team del Bambin Gesù, col professor Bertini, venerdì erano ancora disposti a curare Charlie, dopo aver esaminato le risonanze e gli esami strumentali, perché c’è ancora, secondo loro, una possibilità di miglioramento significativo per il cervello di Charlie. È il deterioramento dei muscoli ad essere irreversibile. Scrive Connie che è stato sprecato troppo tempo: sei mesi di non trattamento, per essere precisi.

È stato perso troppo tempo prezioso

A gennaio ancora i muscoli di Charlie erano abbastanza tonici ed attivi e la scansione del cervello era quella di un bambino relativamente normale della sua età. I medici americani e italiani hanno convenuto che la cura doveva  essere iniziata prima.

Chiede Connie, perché Charlie non è stato curato a gennaio o ad aprile? Gli esami strumentali di quei tempi, visti dal team internazionale venerdì, non mostravano alcuna prova effettiva di danni  irreversibili. Mentre si è discussa la questione in tribunale, nei vari gradi di giurisdizione, la malattia progressiva di Charlie ha fatto il suo corso, fino al punto di non ritorno.

Il GOSH si è rifiutato per troppo tempo di fornire l’accesso alle cartelle cliniche di Charlie

Purtroppo, prosegue Connie, il professor Hirano non ha avuto accesso ai dati rilevati dagli esami strumentali, ma solo ai referti dei medici del GOSH. Gli esiti degli esami strumentali siamo riusciti ad averli solo durante il processo. «Se avessimo avuto l’opportunità di avere risonanze e gli elettroencefalogrammi a suo tempo siamo convinti che Charlie ora sarebbe  in terapia e magari starebbe già migliorando». Sappiamo, infatti, che il GOSH ha combattuto in modo implacabile contro coloro che volevano vedere la cartella clinica di Charlie.

Charlie non soffriva e non soffre dolore

Il GOSH e il giudice Francis si sono opposti al trasferimento di Charlie perché «avrebbe sofferto»: Connie ha ribadito che non ci sono mai state prove che il bambino sentisse dolore, fino ad oggi.

Eutanasia per Charlie

Quindi l’arroganza medica e giurisprudenziale di chi ha deciso che la “qualità della vita” di Charlie era comunque non degna di essere vissuta ha prevalso. E purtroppo, stando a quanto asserito dalla stessa Connie, se adesso staccano il respiratore a Charlie, il bambino sarà ucciso, subirà l’eutanasia, non morirà di morte naturale.

Le parole del giudice Francis

Le lacrime di coccodrillo

Il giudice Francis e i media che con sussiego hanno riportato le sue dichiarazioni (i soliti Corsera & C.) ha pianto lacrime di coccodrillo e di compassione per Charlie e per i suoi, che vi risparmiamo. Ha anche detto che il bambino non è mai stato “prigioniero” del sistema giudiziario – ospedaliero, che invece si adopera per “il suo miglior interesse”: loro – i giudici – lo sanno meglio dei genitori qual è il miglior interesse del bambino. S’è visto. Attendiamo che si presenti la situazione opposta, quella di un bambino down, per esempio, che venga difeso dall’aborto (o dall’eutanasia) nel suo “miglior interesse” (... campa cavallo, che l’erba cresce...).

La reprimenda al popolo dei social media

Poi, però, ha da ridire sul “mondo dei social media” che «in casi come questo che divengono virali, si sente autorizzato a esprimere opinioni, indipendentemente dal fatto che siano o meno basate su elementi di prova». Qui ci sentiamo direttamente chiamati in causa da sua eccellenza e ci sentiamo di ribadire con forza che – Sì – il mondo dei social ha il sacrosanto diritto di esprimere opinioni (magari assumendosene la responsabilità, non nell’anonimato... ma questo è un altro discorso).

E se sua eccellenza ritiene sia giusto imbavagliare le voci libere del web (senza le quali – per altro – Charlie sarebbe morto da un pezzo nell’indifferenza generale, come purtroppo accade in tante altre situazioni) forse dovrebbe dare le dimissioni dalla Corte Suprema di uno stato sedicente democratico: si vada ad impiegare presso il Ministero della Verità.

O forse, ormai, siamo davvero nel 1984.

Francesca Romana Poleggi

Fonte: National Right to Life


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