20/02/2013

L’India contro l’aborto dei feti femmina

La selezione nella nascita di nuovi bambini mette a rischio la proporzione uomo-donna e sta generando uno squilibrio demografico in molti Stati: una cultura di morte che implica la responsabilità di molti medici oltre che una tradizione secolare che vede nelle bambine un problema

Un’indagine condotta dal ministero della Salute del governo indiano ha permesso di identificare un centinaio di medici che hanno condotto aborti, dopo aver determinato il sesso dei feti. L’atto contravviene alla Pre-conception & Pre-Natal Diagnostic Techniques Act, che dal 1994 tutela in pratica i feti femmina. Era, infatti, diventato comune nel Paese asiatico procedere all’aborto quando la gestante o la sua famiglia si rendevano conto che sarebbe nata una bambina. Gli aborti selettivi, sempre più comuni, erano e sono spesso determinati dalle usanze e dalla struttura sociale, in particolare nell’India rurale. Le ragazze, infatti, non possono, fin da piccole, iniziare a lavorare garantendo stipendi anche irrisori alle famiglie. Inoltre devono essere cresciute, spesso senza una adeguata scolarità, fino all’età dei matrimoni. Soprattutto, devono portare una dote (denaro, gioielli ed altri beni) in occasione del matrimonio, causando in moltissimi casi veri e propri indebitamenti da parte della propria famiglia.

Con la legge del 1994 il governo indiano aveva cercato di prendere le difese delle donne, anche perché la proporzione uomo-donna, soprattutto in alcuni Stati dell’India settentrionale stava diventando preoccupante. Ancora recentemente, secondo i dati emersi dal censimento del 2011, la media nazionale del rapporto femmine-maschi è di 969 a1000 e solo negli Stati del Kerala e di Pondicherry le donne appaiono in numero superiore agli uomini. Nello Stato dell’Haryana e del Punjub, per esempio, nel Nord del Paese si scende rispettivamente a 877 e 893 donne per 1000 uomini.

La pratica dei cosiddetti aborti selettivi è, comunque, continuata in cliniche private e negli ultimi tempi era nuovamente venuta alla ribalta in occasione del ritrovamento di una ventina di feti tutti femmine nella città di Sankeshwar (distretto di Belgaum, Karnataka). La polizia locale aveva appurato che  alcune cliniche private avevano gettato i corpicini senza vita nel fiume Hiranyakeshi, dopo aver praticato aborti selettivi femminili, a seguito di test illegali per la determinazione del sesso. All’inizio dell’anno nello Stato del Maharashtra, con capitale Mumbai, undici medici sono stati stati sospesi perché sospettati di aver praticato esami per determinare il sesso dei feti.

Il dottor Pascoal Carvalho, medico di Mumbai e membro della Pontificia accademia per la vita, ha recentemente dichiarato all’agenzia Asia News che il feticidio femminile «è forse una delle peggiori forme di violenza di genere, nella quale a una donne viene negato il diritto più semplice e fondamentale: il diritto alla vita». Nella società indiana, sottolinea il medico, tale pratica «è diventata un problema sociale allarmante, perché comporta l’eliminazione sistematica e crescente delle donne. È urgente ribaltare lo squilibrio demografico [causato dagli aborti selettivi, ndr] e dare inizio a una radicale trasformazione sociale».

Anche una diffusa «cultura della morte», sottolinea il dr. Carvalho, «è causa di aborti selettivi e infanticidi femminili. La Chiesa cattolica invece si impegna a promuovere una cultura della vita attraverso il proprio ministero dell’educazione e della salute. In questo modo è possibile proteggere la vita e la dignità delle bambine, e creare un contesto che difenda, valorizzi e incoraggi le giovani donne, oltre a opporsi alle tante forme di discriminazione e violazione dei loro diritti».

Al contrario di quanto si possa pensare, aborti selettivi e feticidi femminili sono diffusi anche tra le famiglie di ceto medio-alto. A conferma di questo, un recente studio – Skewed Sex Rations in India: Physician, Heal Thyself  – ha appurato che in India le famiglie di medici hanno più figli maschi che femmine.

Fonte: Città Nuova

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