11/08/2014

Materialisti ed utilitaristi contro l’aborto

Sì: avete letto bene il titolo. Per una volta non voglio scrivere di Vita, di amore, di bambini morti, di donne distrutte. Parliamo solo e solamente di soldi.
Ragionamenti strettamente economici, abbastanza semplici.

Mark. A Olson, un pro life americano, si è messo a fare due conti: in quel Paese gli aborti praticati dal 1° gennaio 2014 a oggi hanno significato per il bilancio dello Stato quasi 16 miliardi di dollari di mancate entrate. Ha fatto un conto semplice, basandosi sulla media delle tasse pagate dai contribuenti e moltiplicando per il numero di aborti registrati nello stesso periodo. Ma non solo. Ogni persona in meno è un produttore di reddito (di PIL) in meno: facile da capire. Ma è anche un consumatore di meno: secondo una notissima teoria economica (quella keynesiana) è la domanda che crea l’offerta (sempre il PIL), per cui meno consumatori, meno domanda, meno offerta, meno produzione, meno PIL. Ma se le imprese producono di meno, percepiscono anche loro meno reddito e quindi lo Stato incassa ancor meno imposte.

 

E’ vero che il consumismo materialista che la fa da padrone in quasi tutto il mondo, ci induce a comprare, buttare e ricomprare (come nel Brave New World di Huxley, guarda caso). Così i consumi esasperati dei vivi avrebbero dovuto compensare i mancati consumi dei non nati (non solo di quelli ammazzati con l’aborto, ma in genere di tutti quei figli che vengono “evitati” perché costano troppo, danno fastidio, non si conciliano con il lavoro ecc.), ma la crisi economica e la stagnazione che stiamo vivendo sta qui a dimostrare che, dopo 40 anni di aborto e di politica anti-concezionale, il sistema ristagna. Ci vorrebbe qualcuno bravo con i numeri per fare un conto analogo a quello fatto da Olson negli USA. Abbiamo motivo di ritenere che se in Italia avessimo 6 milioni di contribuenti in più, il nostro fisco rapace e vampiresco ne sarebbe veramente contento.

Francesca Romana Poleggi

 

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