11/09/2018

Paladini della famiglia in ambito internazionale

I nostri Lettori già conoscono i tristemente noti Standard per l’educazione sessuale in Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e sanno bene, quindi, che alle Nazioni Unite vengono continuamente proposti documenti programmatici che promuovono ‘diritti sessuali’ quanto mai controversi, specie laddove auspicano una educazione sessuale radicale anche per i bambini molto piccoli. E infatti, abbiamo già esaminato in diverse occasioni insieme  il progetto di Educazione Sessuale Globale (CSE, Comprehensive Sexuality Education), che rientra nell’agenda ONU per il prossimo futuro.

In questa sede, però, vogliamo dare una notizia confortante: anche nelle sedi internazionali la resistenza che è già cominciata si fa sentire. Contro la deriva mortifera che punta alla decostruzione dell’individuo, attraverso la distruzione della famiglia, la propaganda gender dell’omosessualismo e del transessualismo; contro la propaganda dell’aborto e della contraccezione in chiave neomaltusiana, combattono diverse realtà associative accreditate all’ONU (come – per esempio – Family Watch International), che riescono di tanto in tanto a ottenere qualche significativa vittoria, grazie all’aiuto dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto africani, e dei Paesi europei che non hanno completamente perso il binario del rispetto della dignità umana, della concezione dello Stato al servizio dell’uomo e soprattutto della tutela dei più deboli. In questo caso, per esempio, il tentativo di includere l’educazione sessuale globale in un recente documento delle Nazioni Unite non è riuscito. Tutti i riferimenti alla CSE sono stati rimossi dal documento finale della Commissione delle Nazioni Unite sulla Popolazione e lo Sviluppo (Commission on Population and Development – CPD); la stessa cosa era avvenuta qualche settimana prima in occasione della seduta della Commissione delle Nazioni Unite sulla condizione delle donne (Commission on the Status of Women – CSW).

Ha prevalso, infatti, la coalizione forte e crescente di governi (da ogni parte del mondo), che hanno compreso i pericoli della CSE. Purtroppo è rimasto il riferimento ai tristemente noti ‘diritti riproduttivi’. D’altro canto la pressione della cultura della morte è potente. Ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel rapporto del 2015, ribadisce che la ‘salute sessuale’ presuppone l’accesso all’aborto a richiesta e fa propaganda della sessualità intesa come un gioco che dà piacere fisico fine a se stesso. Questa nozione di ‘rapporto sessuale a scopo ludico’ implica l’oggettivizzazione del corpo proprio e altrui, ed è il primo passo verso la strumentalizzazione dell’altro (la ‘donna oggetto’ tanto deprecata dall’ideologia femminista), con il solo fine di avere esperienze sessuali ‘piacevoli’. Una filosofia perfettamente in linea con l’individualismo più sfrenato che degenera nel nichilismo e nell’autodistruzione dell’umano di cui sopra. Tutti, infatti, sanno quanto il sesso fine a se stesso, senza un coinvolgimento emotivo, sentimentale, davvero globale, sia un piacere effimero che lascia alla lunga profondamente delusi e insoddisfatti. Ed è facile capire che laddove si giustifichi l’uso del corpo altrui per il proprio piacere, si consente alla sopraffazione dei soggetti più deboli. L’OMS, inoltre, insiste che la varietà di rapporti sessuali contribuisce al senso generale di benessere e alla salute delle persone.

Veramente? Non solo l’esperienza comune, ma anche le ricerche scientifiche dimostrano che è vero il contrario. Il sesso promiscuo non è per nulla sano, vista la recrudescenza delle epidemie di malattie sessualmente trasmissibili, proprio nei Paesi che più diffondono le politiche OMS per l’educazione sessuale delle nuove generazioni. Il preservativo non è la soluzione. Anzi, l’esperienza dimostra che, sentendosi ‘protette’ dal condom, le persone moltiplicano i comportamenti a rischio e le infezioni si diffondono in modo esponenziale. La ‘salute sessuale’, quella vera, passa attraverso un’educazione ai valori, al rispetto, alla valorizzazione dell’alta dignità della persona e del suo corpo (che sono un tutt’uno), che non va mai considerato uno strumento, un mezzo, ma sempre un fine. Solo così, in un’ottica oblativa, esclusiva, nel contesto del matrimonio, i rapporti sessuali diventano davvero soddisfacenti, in quanto coinvolgono tutta la dimensione psico-affettiva dell’essere umano, e non solo la dimensione fisica.

C’è anche un altro dato da registrare come un vero successo del fronte pro-vita e pro-famiglia. Nel documento della CPD c’è un paragrafo che insiste sul principio di sussidiarietà: il rispetto della sovranità degli Stati e dei loro valori religiosi e culturali. Valori che invece diversi governi e agenzie delle Nazioni Unite vorrebbero scavalcare per forzare la loro propaganda pro morte nei Paesi in via di sviluppo. Annie Franklin, direttrice di Family Watch International, ha sottolineato il ruolo centrale della famiglia nello sradicare la povertà e la fame, nel raggiungere l’istruzione primaria universale, nel valorizzare le donne, nel ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna e la lotta contro l’HIV, la malaria e altre malattie. Per questo FWI auspica che l’ONU voglia mettere la famiglia al centro dell’agenda sviluppo post-2015 delle Nazioni Unite.

Questo auspicio è anche il nostro. Sappiamo bene che la famiglia è il primo e fondamentale ammortizzatore sociale. La famiglia conviene, anche economicamente, allo Stato. Oggi si fa un gran parlare solo delle famiglie in crisi, separate, allargate, o addirittura degeneri, dove – purtroppo – avvengono abusi e violenze. Si vuole presentare queste disfunzioni come questioni ordinarie. Si vuol far dimenticare che, invece, nella stragrande maggioranza dei casi resta il luogo principe in cui le persone, soprattutto i giovani e i giovanissimi, ma anche i vecchi, i malati e gli handicappati, trovano naturale accoglienza e conforto, cura e comprensione. Ovviamente, in famiglia si sbaglia. Le persone comuni commettono errori, proprio perché sono ‘comuni’. Ma, mediamente, nelle famiglie comuni c’è una dimensione affettiva che sfugge alla professionalità degli psicologi, degli psichiatri, dei sociologi e dei pedagogisti ‘laureati’: nelle famiglie comuni ci si aiuta, magari si sbuffa e si litiga, sì, ma ci si ritrova sempre, perché in famiglia – nonostante tutto – ci si vuole bene.

Teresa Moro

Fonte:
Notizie Pro Vita, n. 42, Giugno 2016, pp. 10-11

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