24/03/2018

Polonia: il Sessantotto e il sionismo

In questo post si parla di storia recente più che di bioetica. Però è interessante e parla del Sessantotto che di risvolti bioetici ne ha avuti (anche troppi!). In questi giorni, poi, si parla di Polonia perché – a leggere i giornali – sembra che le donne polacche stiano facendo la rivoluzione contro la legge ulteriormente restrittiva dell’aborto che sta per essere apporvata (ci auguriamo). I nostri corrispondenti in Polonia ci rispondono increduli: i manifestanti sono poche decine e non sono neanche tutte donne...  Ma tant’è. Questo articolo mostra – tra l’altro – che quello che dicono i giornali non va preso per oro colato, né oggi, né allora. 

Occupiamoci, allora,  del Sessantotto in Polonia.

Per molti, la dimostrazione che il Sessantotto è stato frutto di una congiunzione astrale e non di un progetto è data dai fermenti che in quell’anno scossero Polonia e Ungheria. Due paesi isolati dal mondo occidentale e, quindi, al riparo da eventuali influenze politico-culturali.

La Guerra dei 6 giorni

Il Sessantotto in Polonia inizia nel 1967, con la “guerra dei sei giorni” tra Israele da un lato e, dall’altro, Egitto (Repubblica Araba Unita), Siria, Iraq e Giordania. La Russia, alleata dei paesi arabi, condannò gli attacchi israeliani e, al termine della guerra, interruppe i rapporti con Israele.
Che c’entra la Polonia, direte voi? C’entra, perché allora la Polonia era un paese sovietico, formalmente indipendente ma di fatto occupata dall’URSS; anche la Polonia, infatti, interruppe i rapporti diplomatici con Israele.

Di fronte alle reazioni degli ebrei polacchi, il governo rispose con le purghe, epurando diversi militari e professori universitari che si erano schierati a favore di Israele. Ma la faccenda non era destinata a chiudersi così facilmente.

Il 25 novembre del 1967, in occasione del cinquantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, venne rappresentato il dramma Dziady (Gli avi), di Adam Mickievicz.

Immediatamente cominciarono a diffondersi voci (false) secondo le quali la Russia avrebbe chiesto l’interruzione delle rappresentazioni. Eppure la Pravda aveva addirittura recensito positivamente lo spettacolo…
Comunque sia, gruppi di studenti universitari scesero in piazza per protestare contro l’inesistente censura (lo spettacolo fu replicato fino a gennaio) al grido di “Chiediamo l’abolizione della censura” e “Cultura senza censura”. La milizia intervenne a riportare l’ordine; il New York Times, il Washington Post e Radio Free Europe (finanziata dal Congresso degli Stati Uniti) diedero ai disordini una risonanza internazionale.
Ci furono altri scontri, anche violenti, tra la milizia e gruppi di studenti che arrivarono ad occupare l’università (anche in questo caso gli eventi ebbero rilievo sulla stampa internazionale, soprattutto francese).

La Gomułka aliyah

Il 19 marzo del 1968 il Segretario Generale del Partito Władysław Gomułka tenne un discorso pubblico sugli scontri.
«Alcuni dei giovani studenti di discendenza o nazionalità ebraica hanno partecipato attivamente agli eventi che hanno avuto luogo. I genitori di molti di questi studenti occupano posizioni più o meno di responsabilità ed elevate nel nostro paese. Questa circostanza ha causato soprattutto che, sull’ondata di questi eventi, sia emerso, a volte frainteso, lo slogan della lotta contro il sionismo.
Ci sono nazionalisti ebrei in Polonia che aderiscono all’ideologia sionista? Certamente sì. Sarebbe un equivoco, tuttavia, se qualcuno volesse vedere il sionismo come un pericolo per la sicurezza sociale in Polonia, per il suo sistema sociale e politico.
[…]
L’anno scorso, durante l’aggressione israeliana di giugno contro gli stati arabi, un certo numero di ebrei mostrò in diversi modi la volontà di andare in Israele per partecipare alla guerra contro gli arabi. Non c’è dubbio che questa categoria di ebrei – cittadini polacchi emotivamente e intellettualmente non legati alla Polonia, ma allo stato di Israele – siano decisamente nazionalisti israeliani. Li si può biasimare per questo? Biasimiamo tutti i nazionalisti, indipendentemente dalla loro nazionalità. Suppongo che questa categoria di ebrei lascerà il nostro paese prima o poi.
Tempo fa abbiamo aperto i nostri confini a tutti coloro che non volevano essere cittadini del nostro paese e hanno deciso di andare in Israele. Anche oggi siamo pronti ad emettere, per coloro che considerano Israele come loro patria, passaporti per l’emigrazione.
[...]
Indipendentemente da ciò, tuttavia, quali che siano sentimenti che infastidiscono i cittadini polacchi di origine ebraica, il nostro partito si oppone con tutta la sua fermezza a qualunque fenomeno che rechi le caratteristiche dell’antisemitismo. Combattiamo il sionismo come un programma politico, come un nazionalismo ebraico, ed è giusto. Ma questo non ha nulla a che fare con l’antisemitismo: l’antisemitismo ha luogo quando si agisce contro gli ebrei in quanto ebrei. Il sionismo e l’antisemitismo sono due facce dello stesso nazionalismo».

I polacchi che chiesero volontariamente il passaporto per l’espatrio in Israele furono tra i 13.000 e i 20.000 (alcuni siti riportano la cifra, certamente esagerata, di 50.000).
Israele salutò la Gomułka aliyah (l’aliyah è il “ritorno” degli ebrei di qualsiasi nazionalità in Israele) con entusiasmo.

Furono i sionisti a causare le proteste studentesche del Sessantotto in Polonia?

Aveva ragione Gomułka nell’indicare, come responsabili della rivolta studentesca, “giovani studenti di discendenza o nazionalità ebraica” i cui genitori “occupano posizioni più o meno di responsabilità ed elevate nel nostro paese”?

Adam Michnik

I principali animatori delle rivolte furono Adam Michnik e Jacek Kuroň (nella foto – Pintrest)  entrambi ebrei trotzkisti originari di Leopoli (Ucraina).

Il padre di Michnik, Osia Szechter (Michnik è il cognome della madre), comunista di vecchia data, è stato condannato per aver cospirato contro la Polonia tra le due guerre mondiali (per conto dell’URSS o dell’Ucraina).

Anche il fratellastro di Michnik, Stefan, fu un agente sovietico. Pur non essendo laureato in giurisprudenza lavorò come giudice durante il regime sovietico, rendendosi colpevole di diversi crimini, condanne a morte e torture. Dopo gli eventi del 1968 emigrò in Svezia, dove divenne collaboratore di Radio Free Europe. Nel 2010 venne emanato nei suoi confronti un mandato di arresto europeo; la Svezia non ha concesso l’estradizione.

Adam Michnik, nato nel 1946 a Varsavia, passò la gioventà nel Walterowcy, associazione sovietica di ispirazione scoutistica fondata da Kuroň sul modello dei Pionieri di Stalin.
Nel 1968, insieme a Kuroň, fondò il gruppo denominato Kommando che si pose alla testa della contestazione giovanile. Fu lui ad informare i media occidentali degli eventi di questo periodo.
A cavallo tra il 1975 e il 1976 fu tra i firmatari di Listu 59 (o Memorial 59), in italiano Lettera 59; si tratta di un documento firmato da intellettuali per chiedere al regime sovietico di adottare quanto previsto nell’atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa che prevedeva il rispetto dei diritti umani. Poco più tardi uno documento simile (denominato Karta 77) fu redatto in Cecoslovacchia.

In quegli anni Michnik passò (chissà come) un periodo di tempo a Parigi; al suo ritorno fondò – insieme a Kuroň – il KOR (Comitato di Difesa degli Operai), una associazione a difesa e sostegno degli operai arrestati per gli scioperi di quegli anni.
Quando, nel settembre del 1980, fu fondato il sindacato libero Solidarność, il KOR ne assunse in modo informale la gestione.
Michnik partecipò ai colloqui di Magdalenka e alla Tavola Rotonda del 1989; dopodiché assunse la direzione del foglio informativo di Solidarność intitolato Gazeta Wyborcza.
Dalle colonne di quel giornale cominciò ad attaccare Wałęsa e a sostenere il suo diretto avversario nella competizione elettorale del 1990, Mazowiecki. Dopo le elezioni sostenne a spada tratta le politiche ultraliberiste di Balcerowicz.

Per tutti gli anni Novanta Gazeta Wyborcza godette di importanti finanziamenti pubblici; era distribuita in alberghi, stazioni ed era in tutti gli uffici pubblici del paese. Con il tempo assunse una linea editoriale precisa che potremmo definire liberal, simile a quella sostenuta in Italia da Repubblica: europeista, liberista, anticattolica, abortista

Con il nuovo millennio, grazie all’ascesa del PiS dei gemelli Kaczynski, Gazeta Wyborcza si trovò senza l’appoggio pubblico e visse un crollo di vendite, passando dalle oltre seicentomila copie del 2007 alle centoventimila attuali. Giunse in suo aiuto George Soros che, nel 2016, acquistò circa l’11% delle quote della casa editrice Agorà, che pubblica giornale fondato da Michnik, con diversi milioni di dollari.

Jacek Kuroň.

L’altro Kommando era Jacek Kuroň.
Da sempre militante nelle strutture del governo sovietico, fondò la sunnominata associazione scoutistica sovietica Walterowcy.
Durante gli anni universitari animò un circolo studentesco quali diffuse l’idea di un superamento del modello sovietico in senso trotzkista; uno dei documenti di questo gruppo, Lettera aperta al partito, venne diffuso in Francia.
Nel 1967-68 animò il gruppo denominato Kommando insieme a Michnik, con il quale fondò il KOR.
In quegli anni incontrò diverse volte, ai confini con la Cecoslovacchia, il gruppo che in seguito assunse la denominazione Karta 77.
Fu particolarmente attivo nella guida di Solidarność e durante la Tavola rotonda.
Durante il governo Mazowiecki fu ministro del lavoro e delle politiche sociali; in tale veste condusse una trasmissione setttimanale alla televisione polacca. In queste trasmissioni difese le politiche ultraliberiste di Balcerowicz che gettarono la Polonia in una crisi economica e sociale mai vista (nemmeno durante il socialismo).
Morì il 17 giugno 2004 a Varsavia.

Insomma: come al solito la storia si rivela complessa, piena di sfaccettature e dall’orizzonte più ampio di quanto pensiamo.
Le domande si accavallano, e seguire i fili può condurci più lontano di quanto preventivato...

Roberto Marchesini

 


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