15/03/2019

Quando la morte è annunciata via Skype...

Quello che stiamo per descrivervi non è un racconto surrealista ma è, incredibilmente, vita vissuta. Stiamo parlando dell’assurda vicenda accaduta ad Ernest Quintana, il settantanovenne deceduto mercoledì scorso per una grave crisi respiratoria, in un ospedale di Fremont, in California. La sua famiglia aveva tentato una corsa disperata al pronto soccorso, intuendo la gravità della situazione, ma mai e poi mai i suoi cari avrebbero potuto prevedere il modo in cui la diagnosi sarebbe stata loro comunicata. Ne è stata testimone la nipote Annalisia la quale ha affermato che «Un’infermiera è venuta a dirmi che il medico stava arrivando. Ho pensato: bene, bisogna che registri le sue parole per poter meglio riferire alla mamma».

E così, cellulare alla mano, ha potuto riprendere tutta l’incredibile scena: a entrare in camera non è stato un “camice bianco” ma un robot, formato da una macchina ambulante sormontata da un monitor dove è comparsa la faccia del medico che, via Skype, ha comunicato al paziente che gli restava pochissimo da vivere. Davanti a una forma di comunicazione così asettica, disumana, ed è proprio il caso di dire, “artificiale”, profondo è stato lo sconforto della nipote di Ernest: «Sono distrutta», ha detto la giovane al canale di notizie Fox, «sapevo che stavamo perdendo mio nonno. Ma non mi sarei mai aspettata di non avere accanto il conforto di un medico, un essere umano. Una cosa così non dovrebbe succedere mai più, a nessuna famiglia». Incredibile la replica dell’ospedale: «Ci hanno spiegato che questa è la nuova prassi», ha detto la figlia di Ernest Quintana, Catherine, «questo è il modo in cui si fanno le cose oggi».

L’ospedale, dopo aver porto le sue scuse alla famiglia, ha anche spiegato che la video-tecnologia è stata adottata per «aumentare l’assistenza, e portare una migliore consulenza ai pazienti», aggiungendo, tuttavia, che le circostanze «sono state altamente inconsuete» e che l’uso dei robot al capezzale dei pazienti verrà sottoposto a «una revisione».

Eppure l’episodio, per quanto incredibile, non dovrebbe nemmeno stupire più di tanto, in quanto non è che l’esito naturale di una società che ha banalizzato sia la vita che la morte, trasformandole entrambe da mistero sacro e inviolabile in bene banale, disponibile e, quindi, anche eliminabile al momento opportuno. Dunque viene spontaneo chiedersi se quanto accaduto al povero Ernest Quintana, non sia perfettamente coerente proprio con il modus vivendi e operandi della nostra società che non vede più nella morte un importante rito di passaggio verso una realtà soprannaturale, un rito che, dunque, va sostenuto e accompagnato in modo adeguato e con tutti i “crismi” ma solo come una sorta di “buco nero” che tutto risucchia e nel quale tutti siamo destinati a finire. Una visione talmente triste che la modalità comunicativa con cui viene annunciata, in questo caso, in fin dei conti, risulta coerente con questa concezione e, forse, anzi, potrebbe rappresentare un’importante occasione di riflessione per meditare sul valore dato, oggi, al concepimento e al fine vita, se siamo arrivati al punto che gli ultimi istanti della nostra esistenza debbano essere preannunciati tramite un semplice e glaciale collegamento via Skype.

Manuela Antonacci

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