16/07/2017

Quanti “Charlie” vengono uccisi nell’indifferenza?

C’è una  giusta indignazione internazionale nei confronti del sistema britannico che aveva decretato la morte per asfissia del piccolo Charlie Gard (malato grave ma non terminale,  inguaribile, ma curabile, non sofferente) contro la volontà dei genitori che vorrebbero tentare una terapia sperimentale.

Alcuni leggono nelle pieghe della vicenda il totalitarismo strisciante di uno Stato talmente “sociale” che invade le competenze della famiglia fino ad annichilire del tutto il corpo intermedio, in barba al principio di sussidiarietà su cui dovrebbe fondarsi qualsiasi democrazia.

Altri vedono nell’atteggiamento dell’Ospedale e della Corte inglese la concezione utilitaristica per cui è “inutile” curare che vive una “vita non degna d’essere vissuta”. Cioè, si applica la legge costi – benefici all’essere umano: quanto costa curare Charlie? Quanto gli allunga la vita? E soprattutto, quanto gli migliora la qualità della vita? Il gioco non vale la candela? Buttiamolo via come una vecchia auto che conviene rottamare anziché riparare.

Si parla troppo facilmente di “accanimento terapeutico”, quando nel caso di Charlie l’accanimento terapeutico non c’è. A una persona malata di cancro che con la chemio e le altre terapie si può allungare la vita di qualche anno o di qualche mese, possiamo negare le cure perché “tanto che vive a fare pochi mesi in più, malato di un male incurabile”?

Purtroppo, questa mentalità, è figlia del materialismo, della cultura della morte, di un antropologia rovesciata per cui l’essere umano ha un valore economico, come un qualsiasi altro oggetto, e dilaga da tempo, in molti Paesi che si auto definiscono civili e democratici.

Malati, di tutte le età subiscono questa sorta di eutanasia strisciante, mascherata. In America, hanno vissuto la stessa tragica esperienza della famiglia di Charlie diverse persone, con figli piccoli.

Il noto bioeticista Wesley Smith riporta su LifeNews alcuni casi.

C’è stato il caso di  Baby Ryan a Seattle, in cui un ospedale ha denunciato la famiglia per abusi sui minore perché ha ottenuto un provvedimento che ha impedito ai medici di rimuovere la dialisi renale. Alla fine, però, è risultato che i medici si sbagliavano: il bambino ha vissuto quattro anni: felice, anche se malato, con l’amore dato e ricevuto in famiglia.

I genitori di Baby Terry nel Michigan sono stati spogliati dei loro diritti parentali per aver rifiutato di accettare la rimozione dei sostegni vitali alla loro bambina. La piccola è morta tra le braccia della mamma durante le more della questione legale.

In Canada i medici che curavano Baby Joseph hanno deciso di rimuovere i sostegni vitale al bambino e hanno rifiutato una tracheotomia che avrebbe permesso al piccolo di tornare a casa per morire con la sua famiglia. Le associazioni prolife hanno raccolto il denaro necessario per portare Joseph negli Stati Uniti: la procedura eseguita ha avuto successo e il bambino è morto dopo parecchi mesi tra le braccia dei suoi genitori.

Il caso di Charlie è unico in un solo aspetto: è l’unico caso in cui l’ospedale e la legge impediscono che il paziente venga portato in un’altra struttura (o a casa).

Tale rifiuto, è un atto gravissimo: è l’inizio della codificazione del dovere di morire, nel momento e nel luogo scelto dai medici.

Questo solleva una questione cruciale sulla libertà: di chi è Charlie Gard? Chi ne è responsabile? I suoi genitori? Oppure i bambini e i malati incapaci di intendere e di volere sono di “proprietà” dell’ospedale e dallo Stato?

Redazione


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