25/06/2019

Quell’aborto choc e forzato su una donna incinta e disabile...

Pochi giorni fa, un giudice del Regno Unito ha autorizzato un aborto forzato su una donna incinta, a 22 settimane di gravidanza, «con disabilità dello sviluppo e disturbi dell’umore», come leggiamo su National Right to Life, nonostante sia la giovane che sua madre si fossero opposte, in quanto cattoliche.

La sentenza ha avuto luogo presso la Court of Protection, che si occupa dei casi in cui le persone non sono ritenute in grado di prendere decisioni per se stesse. I medici del trust Nhs, presso cui la giovane era in cura, ritenevano fosse meglio per lei abortire, piuttosto che partorire, con il rischio che, dopo il parto, il bambino venisse dato in affido ad altri. Così, la vicenda è giunta in tribunale.

Ma, nonostante la madre della gestante si fosse offerta di prendersi cura del bambino, una pesante “lama” giudiziaria ha reciso le speranze di portare a termine la gravidanza: quella del “best interest”, lo stesso “miglior interesse” in nome del quale furono uccisi Charlie Gard, Isaiah Haastrup, Alfie Evans e, ormai, anche altri innocenti.

«Io devo operare nel migliore interesse», ha affermato il giudice Nathalie Lieven, «non in base alla visione della società». Insomma, alla faccia dell’autodeterminazione, di cui tanto ci si riempie la bocca quando si presenta l’aborto come un “diritto civile”.

Ma, inaspettatamente, la storia ha avuto un lieto fine. «La sentenza ha scatenato indignazione, con migliaia di persone che hanno firmato petizioni e hanno contattato il Segretario di Stato per la Salute», e proprio ieri una Corte d’Appello costituita da tre giudici ha stabilito che i medici non avrebbero potuto procedere con l’aborto forzato sulla giovane.

La vita e la vera libertà hanno trionfato, ma nel Regno Unito vi sono ancora molti passi avanti da compiere, affinché la dittatura del best interest non prenda il sopravvento contro la vita di poveri innocenti.

Luca Scalise

 

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