30/09/2018

Stuprata, dice no all’aborto: «Mio figlio non è un promemoria»

Jennifer Christie è una donna che, con poche dichiarazioni, riesce a smontare i tipici cliché degli abortisti, proprio in quello che, in fatto di aborto, dovrebbe essere uno degli argomenti più delicati: l’aborto in caso di stupro. Un articolo di Aleteia ci racconta la sua storia.

«Nel 2014 mi trovavo in viaggio d’affari e alloggiavo in un piccolo hotel. In una fredda mattina, un uomo mi ha seguito e, a causa del rumore del vento e della fretta di arrivare nella mia stanza per riscaldarmi, non mi sono accorta di lui. Mi ha aggredito, picchiato e stuprato».

Rimasta incinta, la sua decisione di tenere il bambino non fu supportata dai genitori, ma il marito seppe starle accanto, sostenendola fin dall’inizio. Accogliere una nuova vita, innocente, seppur frutto della violenza, non è, certo, una scelta in linea con quello che la propaganda abortista vuole far passare come “giusto” ed “umano”.

Eh sì, perché, secondo loro, il “prodotto del concepimento” generato dopo uno stupro altro non sarebbe che un “promemoria” continuo dell’aggressione subita. E questo è uno dei loro cavalli di battaglia per giustificare la legalizzazione dell’aborto.

Jennifer, però, non si fa ingannare dalla propaganda pro aborto. Nel suo grembo, infatti, non c’è il “figlio dello stupro”, come spesso lo si suole chiamare in questi casi, ma semplicemente suo figlio.

E così, chi critica ai pro life di non rappresentare la voce delle donne, farebbe bene a prendere in considerazione anche le parole di questa mamma, che afferma: «Non ho mai sentito una madre il cui figlio è stato concepito in uno stupro affermare che le ha ricordato l’aggressione subita. Mio figlio, semplicemente, mi ricorda che il bene trionfa sempre sul male, che l’amore è più forte dell’odio e che la nostra umanità non è determinata dal modo in cui siamo stati concepiti».

E il “diritto” all’aborto? Un inganno ben costruito, «si parla dell’1% dei bambini – quelli concepiti in seguito ad una violenza sessuale – per creare una legge che massacri il restante 99%». E quell’1%, che colpa aveva dello stupro, per meritare l’aborto?

Infine: l’aborto dopo uno stupro può veramente aiutare in qualche modo la donna o, come altre donne hanno affermato, è una violenza ancor peggiore?

Luca Scalise

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