17/01/2016

Transessualismo al cinema, smontato da un ex transessuale

Walt Heyer è un ex-transessuale che – avendo sofferto in prima persona la disforia di genere, ed essendo stato ingannato dal transessualismo, un’ideologia che nega la realtà e calpesta la dignità di esseri umani in seria difficoltà, ha votato la sua vita ad aiutare davvero i tanti transessuali in crisi nonostante la,  e a causa della, “riassegnazione” chirurgica del sesso.

Cura un sito web, SexChangeRegret.com, e un blog, WaltHeyer.com.

La storia di Heyer si può leggere sotto forma di romanzo in  Kid Dakota and The Secret at Grandma’s House e nella sua autobiografia, A Transgender’s Faith. Altre sue pubblicazioni sono  Paper Genders (pubblicato anche in Italiano da SugarCo) e  Gender, Lies and Suicide.

Heyer ha già visto un film, che a febbraio uscirà anche in Italia: The Danish Girl (La ragazza danese). Un film che Hayer si sente in dovere di criticare fermamente.

transessualismo_Walt-HeyerE’ tecnicamente molto benfatto e ben recitato, ma è pieno di luoghi comuni, lancia messaggi devianti e controproducenti, soprattutto lesivi della dignità delle persone che soffrono di disforia di genere: da tale propaganda ideologica essi vengono ingannati, e profondamente danneggiati.

Il protagonista del film esprime solo una cosa vera: la sofferenza delle persone transgender. Ma il film nasconde il fatto che troppo spesso le persone transgender continuano a soffrire anche dopo l’intervento chirurgico, perché i loro problemi psicologici rimangono intatti.

Il film è ambientato in Danimarca nel 1920. Einar e Gerda sembrano una coppia normale di artisti. Quando Gerda per completare un quadro chiede al marito di posare come donna, scatena un’emozione profonda in lui. Lo incoraggia a impersonare “Lilli” ed Einar si innamora del suo aspetto travestito da donna (il termine medico per il comportamento di Einar è “autoginefilia”).

Il film mostra passo-passo come Lilli voglia la completa scomparsa di Einar: alla fine Gerda, la moglie, viene abbandonata e cade in preda all’angoscia. Einar intraprende la strada della chirurgia plastica e poi muore.

Heyer spiega che la storia della “ragazza” danese è molto simile alla sua. Anche lui, nato uomo, aveva sposato una donna e vissuto come un uomo. Come Einar, aveva avuto un’esperienza di “confusione” sessuale durante l’infanzia, come Einar di tanto in tanto si travestiva da donna: prima in segreto e poi in pubblico. Come Lilli, voleva uccidere la sua identità maschile in modo che la sua identità femminile, potesse vivere.

Oggi – a differenza dei tempi di Einar – le tecniche di chirurgia plastica non sono particolarmente pericolose. Dopo aver subito l’intervento per “cambiare sesso”, come Einar, Heyer era euforico. Ma l’eccitazione presto è svanita. E questo il film non lo racconta.

Col passare del tempo (Heyer ha vissuto otto anni come donna), ha cominciato a non avere più pace. Con estremo sgomento, Walt (l’uomo che lui pensava di non essere) di tanto in tanto prendeva il sopravvento, anche più volte nello stesso giorno. Anche se al momento si era sentito felice del cambiamento dei connotati morfologici, l’ansia, l’angoscia, l’irrequietezza, l’infelicità e la disperazione erano ancora lì.

Dice Heyer che la sua esperienza e quella della maggior parte delle persone transessuali è molto simile a quella della “ragazza danese”, ma va ben oltre: molti, come lui, alla fine trovano la pace solo quando imparano ad accettare la loro originaria natura sessuata, per quanto orrendamente mutilata dalla chirurgia di riassegnazione di sesso.

Quando uno psichiatra serio e cosciente fa un’accurata diagnosi di disforia di genere e dei disturbi dissociativi connessi, con il tempo e una terapia adeguata, Walt Heyer e le persone che ha aiutato e collaborano con lui sono lì a testimoniare che si può e si deve curare. Nella stragrande maggioranza dei casi funziona. Non è facile, è doloroso, ma – dice Heyer, in base alla sua esperienza e a quella delle persone che si rivolgono a lui per essere aiutati – la natura alla fine prevale.

Ovviamente, la propaganda ideologica transessualista non vuole che si dicano certe cose: l’accusa di omo-transfobia è bella e pronta. Heyer ha ricevuto persino minacce di morte. La verità brucia. E la verità è che coloro che davvero odiano i transessuali, i veri transfobici, sono quelli che illudono le persone che soffrono di disforia che l’intervento chirurgico risolve tutto. 

Secondo il DSM-5 (l’ultima edizione del  Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), la disforia di genere è la marcata congruenza tra il proprio sesso biologico e il “genere” percepito. Anche se non se ne parla molto, gli studi dimostrano che la maggioranza (oltre il 60 per cento ) dei pazienti transgender soffre di altri disturbi, altre co-morbidità co-esistenti. E soprattutto quando sia diagnosticata (seriamente) in soggetti molto giovani, nella maggior parte dei casi la disforia regredisce spontaneamente.

Quando nel film Lilli dice che Einar è morto e sepolto, si trova all’acme del disturbo dissociativo. Invece, gli ideologi del transessualismo presentano quel momento come se fosse il momento della risoluzione del disturbo. Questo non aiuta la maggior parte dei transgender, questo li illude e li condanna alla disperazione.

Lasciando da parte le persone con disturbi genetici che hanno, quindi, problemi cromosomici dalla nascita (ma anche qui la scienza insegna che c’è sempre un carattere prevalente: non esiste il “terzo sesso”): “Transessuali non si nasce”, dice Heyer, “lo si diventa per le esperienze della vita, che  plasmano le emozioni e i desideri”.

Conclude Heyer: “I transgender hanno bisogno di cure psichiatriche, ma spesso non hanno nessuno ad aiutarli. Un sondaggio 2011  ha rilevato che il 41 per cento delle persone transgender hanno tentato il suicidio almeno una volta. Infelicità e suicidi sono stati sempre stati segnalati nella letteratura scientifica e nelle documentazioni conservate dalle cliniche che si occupano di chirurgia estetica di riassegnazione del sesso: gli alti tassi di suicidio tra la popolazione transgender dopo l’operazione hanno dimostrato che la chirurgia non è una soluzione al problema, ma solo una tregua temporanea”.

In una scena di  The Danish Girl, uno specialista diagnostica a Einar una schizofrenia paranoide. Einar fugge comprensibilmente e giustamente per paura di “trattamento” barbaro cui – a quei tempi – lo avrebbero sottoposto.

Attendo con ansia il giorno in cui il prescrivere l’intervento chirurgico per cambiare sesso a tutti coloro che soffrono di disforia di genere sarà considerato un trattamento altrettanto barbaro”.

 Francesca Romana Poleggi

Fonte: LifeSiteNews

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