11/01/2019

Ue, neolingua gender. Parla De Mari: «Violata la più elementare libertà di parola»

Per Silvana De Mari, si tratta di un vero e proprio “etnocidio”. Si ammazza, cioè, un popolo a partire dal suo elemento costitutivo primigenio: la lingua. Pietra dello scandalo è il sussidio che, da qualche mese, sta circolando tra gli europarlamentari e tra i dirigenti dell’Unione Europea: un’operazione di indottrinamento all’insegna del lessicalmente corretto, nella declinazione neutra e gender fluid.

«Ogni popolo ha diritto alla sua vera lingua, ovvero alla lingua che si è formata in quel popolo, nei secoli, se non nei millenni», dichiara a Pro Vita Silvana De Mari, medico, blogger e scrittrice, recentemente protagonista di un clamoroso processo per diffamazione. Secondo la De Mari, «si definisce etnocidio l’uccisione di una civiltà: i corpi rimangono teoricamente vivi ma in realtà l’etnocidio precede il suicidio di un popolo», favorito anche dalla «denatalità» e dall’«incoraggiamento di fenomeni migratori che, in realtà, sono invasioni».

Quanto alla neolingua propagandata dall’Unione Europea, «nessuno dovrebbe avere il diritto di dire quali parole debbano essere usate, pertanto imporre un nuovo linguaggio costruito a tavolino», argomenta la De Mari, costituirebbe un «arbitrio gravissimo» e una «violazione della più elementare libertà di parola», che ricorda l’imposizione della lingua da parte dei “colonialisti” dei secoli scorsi. «Anche quello che avviene nell’Unione Europea», prosegue la scrittrice, «è una forma di colonialismo: vuol dire privare della libertà più elementare che è quella della propria lingua, vuol dire creare una continua insicurezza, trasmettere lo scrupolo che quello che dicevano o facevano i miei nonni era sbagliato, quindi che siano sbagliate anche la civiltà e la lingua cui appartengo. Se però la mia civiltà è sbagliata, allora tanto vale che moriamo tutti…».

Per Silvana De Mari, l’imposizione di un linguaggio in cui vengono artificiosamente soppressi termini che rimandano alle appartenenze di genere maschile e femminile, più che un atto folle o stupido, è un’operazione scientemente «pianificata e calcolata, con lo scopo di spingere la civiltà occidentale a vergognarsi di se stessa» e, a lungo andare, ad autodistruggersi. Lo stratagemma della neolingua, quindi, è solo un “pretesto” per avviare questa demolizione culturale.

Un processo che, fa notare la studiosa torinese, ha già dei precedenti: l’espressione “nero”, a indicare le persone di origine o etnia africana, ha iniziato a prendere piede solo a partire dagli anni ’70 per sostituire la parola ne*ro. Anche la parola “zingaro” ha assunto nel tempo un’espressione spregiativa, eppure, osserva ancora la De Mari, vi sono opere verdiane come il Trovatore o la Traviata in cui questo vocabolo è usato. «Perché una parola che usavano i miei nonni, oggi dovrebbe essere cattiva? Cattivo, al limite, è un insulto come ‘imbecille’ o ‘va’ all’inferno’…», conclude la dottoressa.

Luca Marcolivio

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