17/12/2018

UE: Polonia e Ungheria bloccano normativa pro gender

Polonia e Ungheria continuano a essere i principali baluardi contro l’ideologia del gender. È della scorsa settimana la discussione, al Consiglio degli Affari Sociali dell’Unione Europea, di una proposta di legge che promuove l’“uguaglianza di genere”. Il pretesto non è affatto nuovo: prevenire il cyberbullismo tra i giovani.

Ferma e tenace la resistenza di Varsavia e Budapest, che hanno voluto, e alla fine sostanzialmente ottenuto, lo stralcio del passaggio cruciale, che si prefiggeva di tutelare, oltre ai «giovani di basso status socio-economico», agli «appartenenti a minoranze etniche tra cui Rom», a quelli «con disabilità», a quelli «nelle aree rurali» e a quelli «con un background migratorio», anche i «giovani Lgbtqi». Apparentemente, il testo non conteneva riferimenti a nuovi diritti per questa categoria ma si presentava esclusivamente come una protezione dalle aggressioni e dalle derisioni. Le rappresentative polacca e ungherese hanno però mangiato la foglia, ingaggiando un serrato braccio di ferro con il fronte pro gender, che ha visto in prima linea Belgio, Olanda e Malta. È stato tentato un compromesso, sostituendo l’espressione “Lgbtqi” con la più edulcorata “caratteristiche genetiche” ma neanche questo ha piegato la resistenza polacco-ungherese.

I fautori del gender sono arrivati a un vero e proprio ricatto, minacciando di bloccare tutti i testi in discussione al Consiglio, mentre la maggior parte dei Paesi – Italia compresa – hanno presentato un testo che impegna la commissione europea a elaborare una strategia UE a favore della comunità Lgbtqi. Non essendo riuscita a ottenere l’unanimità, la presidenza austriaca ha adottato comunque il testo con il riferimento ai Lgbtqi, non mancando di minacciare Polonia e Ungheria, la cui intransigenza non sarebbe stata più tollerata. Il provvedimento è stato tuttavia derubricato a “conclusioni presidenziali”, non rivestendo quindi alcun valore legale.

Polonia e Ungheria sono sotto il tiro dell’Unione Europea anche a causa di controversie legate alla presunta poca indipendenza dei loro poteri giudiziari, che potrebbe dar vita a sanzioni contro entrambi i Paesi. L’Ungheria è nel mirino anche riguardo alla libertà di espressione e ai diritti delle minoranze. L’europarlamento ha inoltre parlato di corruzione e maltrattamento di migranti e rifugiati nel Paese magiaro. Si viene così allargando sempre più il solco tra i partner storici dell’Unione Europea e i Paesi del gruppo Visegrad. Ancora memori di quarant’anni di oppressione sovietica, Polonia e Ungheria – ma è opportuno citare anche la Croazia – sono meno propense rispetto alle nazioni occidentali ad accettare i diktat di Bruxelles. In particolare in Polonia, le radici cristiane, anziché indebolirsi, si sono rafforzate durante e dopo gli anni sotto il giogo comunista.

Non è un caso, del resto, che proprio Polonia e Ungheria hanno espresso le adesioni più convinte al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, in programma dal 29 al 31 marzo 2019. In questi Paesi, infatti, la famiglia è sempre stata vista come un motore di libertà contro tutte le tirannidi, mai come un presunto strumento di oppressione maschilista e patriarcale, come invece avviene in certi ambienti liberal italiani e occidentali.

Luca Marcolivio

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