30/01/2016

Utero in affitto – A Bruxelles la fiera delle donne e dei bambini in vendita

“Venghino, siori, venghino”... a Bruxelles si vendono bambini e donne: la seconda  fiera dell’utero in affitto è cominciata.

Già nello scorso maggio, infatti, si era verificato un evento del genere.

Questa volta è la “Baby Bloom” un’agenzia americana che invita a visitare la “mostra”: al modi prezzo di 80.000 – 100.000 euro, si può scegliere una madre surrogata, venditrici di ovuli, donatori di sperma, assistenza legale, assicurazioni... insomma “prodotto” garantito al 100%, compresa la selezione del sesso (cioè: si scartano non solo gli embrioni di qualità scadente, ma anche quelli del sesso indesiderato...).

Pare che abbiano già mandato il form per partecipare alla fiera almeno 140 coppie omosessuali (ma ovviamente è gradita la partecipazione anche degli etero)

Il Parlamento belga sta discutendo una regolamentazione della cosa: notare bene che se una cosa è “regolamentata”, vuol dire che è permessa. Solo in certi casi? Sì.... come l’aborto, la fecondazione artificiale  e l’eutanasia: si è visto quanto è servito stabilire in quali casi!

Oggi, in Italia, l’aborto è praticamente a richiesta, sulla fecondazione artificiale, abbiamo visto che fine ha fatto la legge 40 (tutti i paletti sono “caduti” per opera dei giudici, che non sono stati eletti da nessuno) e in Belgio l’eutanasia è praticata a giovani , vecchi, malati e non, volenti e nolenti, col consenso dei parenti e senza.

Certe cose devono essere vietate e basta. Anche l’utero in affitto.

E comunque anche per questa “fiera” belga della Baby Bloom, si sono levate le proteste di diversi esperti nel settore sanitario belga e anche di alcuni deputati, che lamentano la violazione di un ampio ventaglio di norme giuridiche interne e internazionali.

Le indagini statistiche, poi, dicono che i Belgi sono contrari all’utero in affitto al 60%.

Ma si sa: di questi tempi il concetto di democrazia e di rappresentatività sono piuttosto vaghi, o meglio, strabici.

Redazione

Fonte: L’Avvenire del 28 gennaio 2016, pag. 16

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