07/10/2017

Vita minacciata contro l’evidenza

Il 20 settembre, a Brampton, nella provincia canadese dell’Ontario, la ventisettenne Taquisha McKitty viene dichiarata in stato di “morte cerebrale” in seguito a un arresto cardiaco del 14 settembre, che l’ha portata in fin di vita, causato da un sovradosaggio di droga.

Come racconta un articolo di LifeNews, in seguito a tale dichiarazione, il sistema sanitario William Osler ha manifestato la sua intenzione di rimuovere il sostegno alla vita della giovane. Immediatamente i suoi genitori hanno richiesto un’ingiunzione giudiziaria al fine di scongiurare questo triste epilogo, così la Corte di Giustizia Superiore dell’Ontario ha stabilito che il caso di Taquisha fosse valutato da un altro medico.

eutanasia_accanimento_terapeutico_vitaDi notevole importanza, infatti, è la testimonianza del padre, il quale, come ha dichiarato alla CP 24 news, afferma che il corpo di Taquisha sia in grado di rispondere a stimoli, ad esempio reagisce al solletico sotto i piedi e in un caso, su richiesta, ha persino mostrato il pollice. Il fatto che, a una settimana dalla dichiarazione di morte cerebrale il suo corpo sia ancora in grado di rispondere agli stimoli esterni lascia facilmente dubitare circa l’esattezza di un tale pronunciamento.

Sul caso di Taquisha, sebbene sia in pensione, si è espresso anche il Dottor Paul Byrne, esperto sui criteri di valutazione della morte cerebrale, il quale sostiene fermamente: “Ciò che succede qui è che la giovane donna sta vivendo”. E non è tutto, il medico americano afferma anche che non possa bastare la parola di un medico a dichiarare la morte di una persona.

Taquisha ha un cuore che batte, una circolazione attiva e risponde agli stimoli. Inoltre, il dottore solleva una questione affatto irrilevante: l’ospedale William Osler non è nuovo a situazioni analoghe. Nel 2010, infatti, fu dichiarato lo stato di morte cerebrale del pastore Joshua Myandi, la vita del quale fu portata a termine per disidratazione in seguito ad una errata interpretazione della sua scheda delle capacità.

Un altro fattore che, secondo Byrne, ha portato l’ospedale a precipitarsi nell’elaborazione di questa diagnosi è il fatto che Taquisha aveva già in precedenza firmato i documenti per donare gli organi.

Attualmente il tribunale ha stabilito che l’ingiunzione giudiziaria resti in vigore fino al 17 ottobre. Una situazione del genere dovrebbe destare in ognuno di noi una sana indignazione. E’ inammissibile continuare a notare come i primi a dover avere cura della vita umana siano al contempo i primi minacciarla ed a volersene sbarazzare non appena se ne presenti loro la possibilità. Speriamo che la giovane Taquisha possa ricevere i trattamenti sanitari adeguati al suo caso e che mai più si verifichino episodi di così indecente malasanità. Taquisha sta ancora lottando, la sua vita merita come tutte le altre di essere curata e rispettata dignitosamente, fino al suo termine naturale.

Luca Scalise

 


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