01/05/2019

Word ai tempi della “neolingua”

word_neolinguaIl software Word per pacchetto Office 365 presenta un’opzione denominata “linguaggio inclusivo”. Funziona, infatti per determinate parole, ad esempio “transessuale”, sottolineata in rosso come per il controllo ortografico, cliccandoci sopra appare una finestra che, al posto di riportare una correzione ortografica, presenta la dicitura «Linguaggio inclusivo»; e subito accanto un’altra finestrella che esplicita ulteriormente la dicitura in questione, con la scritta «Assicurati di evitare un linguaggio sessista»; e subito sotto il conio “politicamente corretto” ovvero «persone transessuali».

Interessanti diktat linguistici che ci fanno riflettere sul modo in cui si cerchi di imporre il più possibile la “neolingua” ovvero quella “coltre linguistica” con la quale si cercano di coprire ed edulcorare le nefandezze più inaccettabili, usando un lessico studiato ad hoc, che può essere asettico nel caso di pratiche cruente come l’aborto, che oggi si tende a non chiamare più con questo nome ma piuttosto con un’anonima sigla (Ivg) che, pronunciata velocemente, senza nemmeno soffermarsi su ciascuna parola dell’acronimo, quasi ci fa dimenticare di cosa stiamo parlando. Ma vale la pena in questa sede, ricordare altri “parti lessicali” come ad esempio “maternità di sostegno” in luogo di “utero in affitto”: laddove la prima delle due espressioni fa davvero sorridere, in quanto è la piena dimostrazione del tentativo sfacciato di proporre qualcosa di abominevole, come se fosse, al contrario, una forma di “soccorso” verso chi non può realizzare a tutti i costi ciò che desidera e si decide, invece, nella realtà, a comprarla… altro che sostegno!

Ma la neolingua, oltre ad edulcorare realtà tristi e meschine al fine di renderle accettabili, si prefigge anche lo scopo di eliminare ogni tipo di pensiero diverso da quello di chi l’ha generata. Come? Semplicemente facendo in modo che ogni concetto venga espresso con una sola parola o una sola espressione di cui venga rigidamente definito il significato, perché ampliare il linguaggio significa ampliare la capacità critica e speculativa, al contrario, ridimensionare le possibilità delle scelte linguistiche, riduce le occasioni di riflessione. A questo scopo si fa già oggi in modo che tutto ciò che esuli da una “sfera semantica” prestabilita venga tacciato di discriminazione, facendo scattare automaticamente lo “psicoreato”.

Lo vediamo in questa particolare versione del pacchetto Office ma pensiamo anche a un esempio più “istituzionale” ovvero al libello Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, diffuso qualche tempo fa dall’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale) e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento Pari Opportunità) che oltre a prevedere un piano sistematico con cui venivano prese e diffuse misure di “contrasto alle discriminazioni di genere” tramite iniziative in salsa arcobaleno, presentava alla fine un incredibile Glossario con una sfilza di espressioni afferenti al mondo Lgbtqi insieme alla loro “corretta” definizione, a cui, anche i giornalisti, nel corso del documento, venivano invitati ad attenersi. Tra esse, tanto per fare un esempio, spicca «eterosessismo: visione del mondo che considera come naturale solo l’eterosessualità, dando per scontato che tutte le persone siano eterosessuali. L’eterosessismo rifiuta e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità e relazione non eterosessuale. Si manifesta sia a livello individuale sia a livello culturale, influenzando i costumi e le istituzioni sociali, ed è la causa principale dell’omofobia».

Se, dunque, il tentativo di riformare il linguaggio secondo i diktat del pensiero unico ha raggiunto livelli di pervasività tali da invadere, oggi, non solo libretti “di parte” sponsorizzati dall’Unar ma persino un banale pacchetto office, allora possiamo ben dire che, nel tempo dell’inganno universale affermare la verità è sì un atto rivoluzionario ma per compierlo bisogna prima riappropriarsi del linguaggio stesso!

Manuela Antonacci

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