22/11/2018

A scuola regna il pluralismo. Sì, a senso unico

Il capogruppo di Fratelli d’Italia al Consiglio comunale di Ladispoli, Raffaele Cavaliere, ha presentato un’interrogazione al sindaco per chiedere chiarimenti circa la mancata affissione, presso il Liceo Sandro Pertini, di alcune locandine inerenti a un convegno dal titolo: La Tutela della Vita. Il consigliere denuncia che, in base a quanto riportato dal personale della scuola, i manifesti non sarebbero stati affissi su esplicito divieto della Dirigente scolastica, la stessa che invece pare abbia autorizzato l’esposizione di abbondante materiale nella bacheca dell’Istituto avente a oggetto pubblicità commerciali e varie iniziative. Ciò, nonostante le locandine del convegno contenessero il logo del Comune di Ladispoli, patrocinatore dell’evento. Da qui la richiesta di chiarimenti al primo cittadino.

Al di là della polemica politica alcune considerazioni si rendono inevitabili, soprattutto perché, guarda caso, il convegno aveva come titolo “Tutela della Vita”. Nasce quindi  il legittimo sospetto che forse l’evento possa essere risuonato poco “politicamente corretto”. Alla Dirigente scolastica verrebbe spontaneo rivolgere alcune domande.

La scuola non dovrebbe essere un luogo pluralista per eccellenza? Se sì, questo stesso principio non dovrebbe portare a negare un confronto aperto su posizioni che per loro natura sono libere e consentono all’alunno di formarsi una coscienza civile in base alle conoscenze acquisite. Anche per ciò che riguarda la tutela della vita umana e l’approccio da avere nei confronti di problematiche come l’aborto o l’eutanasia, il confronto fra posizioni differenti dovrebbe essere libero e promosso come arricchimento culturale senza alcuna imposizione di pensiero, in un senso come nell’altro.

Ma come si può favorire lo sviluppo di questa coscienza civile se si preclude ad esempio la possibilità di ascoltare un pensiero “altro”, un pensiero diverso e opposto alla narrazione politically correct che ha finito per far ritenere sacri e inviolabili diritti che spingono la società verso l’affermazione di una cultura della morte?

Ma poi, cosa aveva di così grave quel convegno? Promuoveva contenuti eversivi? Violava la costituzione? Andava contro i regolamenti scolastici? Proponeva delle teorie razziste o in contrasto con il rispetto dei diritti umani? Offendeva qualcuno? Se, come appare ovvio, la risposta a queste domande è negativa, perché quei manifesti sono stati censurati? Non rimane dunque che la motivazione ideologica legata al tema trattato, ossia la difesa della vita umana. Ma la scuola non è una sede di partito, bensì un luogo aperto in cui dovrebbe essere consentito un confronto franco e leale fra sensibilità diverse, anche sui temi etici.

Del resto non è forse vero che in diversi istituti scolastici d’Italia iniziative presentate con nobili fini, come il contrasto alle discriminazioni, si sono poi trasformate in veri  e propri corsi di propaganda dell’ideologia gender? E a quanti hanno osato protestare non è stato risposto che la scuola è chiamata ad educare alle differenze? E allora? Oppure i ragazzi devono essere indottrinati a pensarla tutti allo stesso modo, ad essere uniformati ad una “globalizzazione dei diritti e dei valori”? Soltanto ciò che va nella direzione opposta è da vietare? E se non ci sono motivazioni giuridiche o regolamentari alla base della decisione di non affiggere quei manifesti, come evitare la sensazione di trovarsi di fronte all’ennesima forma di discriminazione?

Americo Mascarucci

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